Un tuffo dove l’acqua è più blu

Il Mar Rosso è un luogo ideale per depositarci tristezza e inquietudine.

A 48 ore dalla partenza un nodo mi stringe la gola: No, non vado. Che ci vado a fare? Sono troppo triste per potermi divertire. I problemi mi seguiranno anche a Sharm el-Sheikh e il mio trolley è troppo piccolo per poterli contenere tutti.

Erano questi i pensieri a meno di due giorni da un viaggio che mi avrebbe risvegliata, rimessa al mondo, fatto risalire la china non senza però aver prima toccato il fondo… del mare.

Atterro a Sharm alle due di notte (ora locale) e un’onda di aria calda mi travolge. Mi sembra di rivivere un’immagine descritta in uno dei miei libri preferiti, Shantaram di Gregory David Roberts, quando il protagonista atterra a Bombay.

Riconosco quell’aroma intriso di sudore della speranza, l’odore di chi decide di darsi una seconda possibilità, di chi cade e si rialza, di chi si perde e si ritrova. È l’odore dei sopravvissuti, di chi ce la fa nonostante tutto.

Il mio umore migliora decisamente e comincio a capire che questo viaggio lo ricorderò per molto tempo.

In quella prima notte in Egitto, Morfeo mi avvolge nelle sue braccia regalandomi un sonno sereno, beato e ristoratore.

Il mattino seguente vado alla scoperta della “Baia dello Shaykh”, come la chiamano gli arabi. Il sole è caldo e la sensazione che lascia sulla mia pelle è bellissima. La nostra guida si chiama Saro, un ragazzo dagli occhi scurissimi e che parla perfettamente la nostra lingua.

Si parte dalla punta panoramica del Fanar da dove è possibile ammirare in lontananza l’isola di Tiran e la baia di Naama Bay, passata alle cronache per gli attentati terroristici del 23 luglio 2005. Il mare è di un colore incredibile: turchese, azzurro, blu. Il vento scompiglia i miei capelli: mi sento libera e sulle mie labbra è spuntato un sorriso.

Spostandomi di soli 20 minuti arrivo a Sharm Vecchia, la parte antica della città. Qui non ci sonodiscoteche, niente night club; solo negozi, piccole boutique di gioiellieri e molti bar che fanno un caffè espresso davvero molto buono.

Il centro nevralgico è l’ingresso all’Old Egypt o Old Market, il vecchio mercato nella piazzetta principale, pieno anch’esso di negozi ai piedi di tante collinette rocciose, ricche di cascate d’acqua che la sera vengono illuminate. Qui l’insistenza dei negozianti è tipica e l’arte della contrattazione la fa da padrona.

Di grande impatto visivo è la moschea di Al-Mustafa. Un edificio imponente, con tanti minareti torreggianti con diverse rifiniture in oro che brillano al sole. La moschea si trova al centro di una grande piazza, immersa in un odore fortissimo di spezie provenienti dai negozietti antistanti.

Ho attivato un altro senso: le mie narici fiutano gli odori, sento il profumo di questa città, di questa terra. È un odore acre, un mix di cumino e sabbia del deserto.

Il pomeriggio decido di dedicarlo alla spiaggia. Scelgo una baia circondata dalle montagne del Sinai. L’acqua è cristallina, trasparente. È un po’ fredda ma decido di tuffarmi comunque. Apro gli occhi e sono circondata da pesciolini colorati che mi nuotano intorno.

Mi accorgo subito che non occorre fare immersioni con le bombole in mare aperto per vedere le bellezze marine, lo spettacolo inizia a pochi passi dalla riva.

È quasi ora di cena, e dopo aver visto uno splendido tramonto accompagnato da una bella birra fresca, decido di pensare a cosa mangiare. Mi accorgo di avere fame e la cosa mi stupisce perché in genere il mio desiderio di cibo è sempre stato legato ad uno stato di benessere psico-fisico.

Se mangio vuol dire che sono felice. Mi lascio ispirare dalle tàmeyya, polpette fritte di pasta di ceci condite con diverse spezie, il foul, preparato con farina di fave scure, carne, uova, cipolle e limone. Le mie papille gustative sono in festa, un’esplosione di gusto e di sapori decisi. Chiudo la mia serata egiziana con i piedi in ammollo nella piscina d’acqua calda.

Sorseggio una tazza di karkadè bollente e penso a Serena, la mia anima bella. Il cielo è ricoperto da un manto di stelle: brillano a intermittenza e sembrano mi stiano facendo l’occhiolino. A Milano non capita di vedere uno spettacolo del genere, penso. Inconsapevolmente ho riattivato il senso visivo.

Il giorno dopo decido di visitare il parco nazionale di Ras Muhammad. È situato sulla punta meridionale del Sinai, è una riserva naturale che si estende per 480 km quadrati. Qui ho il mio primo incontro ravvicinato con il deserto che però è molto diverso da come lo immaginavo. Si tratta di un deserto fatto di montagne di granito dai colori che spaziano dal rosso, al bruno, al giallo per la loro conformazione millenaria.

All’entrata del parco c’è la porta di Allah, una monumentale scritta in cemento eretta in segno di armistizio tra gli israeliani e gli egiziani che ha la particolarità di formare la scritta “Allah”, leggibile sia da sinistra verso destra (in ebraico) sia da destra verso sinistra (in arabo). Da questa scritta parte la strada per accedere a un parco marino di una bellezza straordinaria.

Una volta oltrepassata la Porta, il marrone delle dune di sabbia, rocce e fossili di coralli diventerà il colore dominante, affiancato dalle mille gradazioni di azzurro di un mare timido che fa capolino da lontano. Solo una parte del parco di Ras Mohammed è visitabile ma, dicono, che ne vale la pena: qui ci sono numerosissime varietà di coralli, circa duecento.

Proseguo la mia gita e mi imbatto in quella che la guida spiega essere “la spaccatura del terremoto”, causato da una scossa sismica che ha provocato una frattura della crosta terrestre che non si è più rimarginata e che vede la parte più profonda arrivare a 16 metri, nel mare. Il gioco di luci e ombra è straordinario.

Fa caldo per essere febbraio e così decido di fare una sosta al Lago Magico, chiamato così per il colore del mare che cambia continuamente durante il giorno e non è visibile dai satelliti per la sua concentrazione di piombo. È una piscina naturale protetta da un “leone” (una montagna) che ne è il guardiano.

L’acqua è molto salata e un po’ fredda ma la mia guida, complice forse il fatto che io sia italiana, mi invita a tuffarmi ed esprimere un desiderio. Decido di seguire il consiglio di Saro, il ragazzo che mi fa da guida, e mi tuffo con la speranza di ritrovare me stessa.

Il parco è grande e c’è tanto ancora da vedere. Arriva il turno delle mangrovie, particolari piante che
filtrano l’acqua salata del mare e tra le quali si sviluppa un folto ecosistema formato da diverse specie di pesci e crostacei, come il granchio “violinista”, chiamato così per l’eccentrica conformazione di una delle sue due chele. L’acqua è così trasparente che una razza mi passa a pochi centimetri di distanza e sembra che stia volando.

Sono felicissima, mi sento bene, continuo a sorridere ma il bello – a mia insaputa – deve ancora arrivare.

Raggiungo la costa del Golfo di Suez, in una delle tante spiaggette chiare e sempre lambite da un mare caldo e molto popolato. Leggo che è possibile fare delle immersioni perché Ras Muhammad ha una delle barriere coralline più belle e intatte del mondo.

Sono un po’ scettica perché è tanto tempo che non infilo la muta e faccio un giro sott’acqua. La mia indecisione non dura tanto: dopo pochi minuti mi ritrovo al centro diving e ho già in mano l’attrezzatura per scendere nei fondali. Indosso la muta, controllo il livello d’ossigeno della bombola, infilo le pinne e la maschera.

Uno, due, tre, mi immergo. Apro gli occhi e quello che vedo mi lascia senza fiato. Una barriera corallina incredibile che precipita fino a 120 metri.

È un tripudio di colori, la vegetazione è fitta con tantissimi coralli a ventaglio che ondeggiano in un balletto elegante. Una miriade di pesci dai colori sgargianti mi dà il benvenuto.

C’è il pesce napoleone, il pesce pagliaccio, il pesce palla. Tanti pesci rossi, gialli, blu, verdi. Mi imbatto in un gruppo di pesci chirurgo chiamati così per la loro singolare caratteristica di avere due piccole lame sui lati alla base della coda. Queste lame, simili a un bisturi, vengono messe fuori e utilizzate in caso di pericolo e necessità.  

Nuoto con gli abitanti degli abissi, circondata da un silenzio melodioso, interrotto solo dal rumore delle bolle del mio ossigeno. Mi sento leggera, riappacificata con il mondo e forse anche un po’ con me stessa. Sono entusiasta, felice e riesco a sorridere anche se ho il boccaglio in bocca. Mi avvio verso la riva perché l’escursione sottomarina sta quasi per concludersi.

Nuoto scortata dai miei amici marini e penso di aver realizzato un mio piccolo sogno. Ad un tratto con la coda dell’occhio vedo una sagoma. Mi giro di scatto con la testa e alla mia sinistra spunta una meravigliosa tartaruga. È enorme ma si muove con una leggerezza incredibile, un ritmo e una grazia inaspettata. La seguo per un po’ in mare aperto e la saluto con la mano.

Il cuore mi scoppia di gioia. Esco dall’acqua e racconto a Saro del mio incontro con la testuggine. Mi dice che erano anni che non se ne vedevano. Non so se la mia guida mi stesse adulando o stesse dicendo la verità, ma mi piace pensare che quella tartaruga stesse aspettando proprio me per prendersi sulla sua corazza un po’ della mia tristezza e le mie debolezze e depositarla lì, sul fondo del Mar Rosso.

Testo e foto: Elena Segesta