“Drika!” la voce di sua madre che la chiama interrompe il nostro momento, quello in cui io la guardo ogni giorno prendere l’acqua e portarla dalla riva all’interno del villaggio e lei fa finta di non sapermi lì a nasconderle sorrisi tra le foglie degli alberi. “Drika!”, lei si gira guarda la vecchia che la chiama con insistenza e si alza in piedi.
Lei lo sa che io sono qui, vede i disegni che le dipingo in cielo con le nuvole e mi ama.
Se fossi nato potrei amarla anch’io, come gli altri uomini amano le donne sull’Isola. Come mia madre amò mio padre e come mio padre amò lei. Tu sarai nell’aria. Così mi ha detto quando sono uscito dal suo ventre. Eppure lei mi ama, Drika, come fossi Terra, come esistessi, lei mi ama. Il suo nome è l’unico che conosco. Mi chiedo come sia averne uno, essere, esistere. Poter amare.
Tu sei destinato ad altro. Lo so.
Gli altri non sono come me, loro hanno volti, paure, parole, io sono l’unico del mio genere qui. Oggi fa caldo, il sole scalda le pietre ed io mi muovo accarezzando il mare con i miei occhi.
Lei si incammina verso il villaggio e io la seguo con lo sguardo, poi con le mie mani, con le mie parole che non esistono, con il mio cuore fatto di nulla cerco di amarla senza carne. Lei si scioglie i capelli, posso vederla da lontano, è tutto ciò che di lei posso assaporare, forse anche domani potrò continuare a guardarla dal lontano in cui mi troverò.
Chissà se quelli come me muoiono come gli altri, chissà se quelli che non sono mai nati muoiono come i vivi. Vorrei morire ora per poter esser con te per sempre, ma quelli come me non muoiono più, me l’ha detto il mare. Lei non mi vede, solo mia madre ha potuto vedermi.
Quelli come me qui non possono esistere. Il giorno in cui sono nato, sono morto e così non morirò più. Quando ho visto la luce sono divenuto vento, sono venuto all’aria, nato come pioggia sottile e passato come temporale estivo.
Salito al cielo e seduto nel ventre del tempo, in eterno.
Quando nacqui mia madre era sola, lei sola mi vide e capì che non avrei vissuto. Il mio volto non era come quello degli altri, non come quello di Drika o di suo fratello o di suo padre.
Io non potevo vedere, ancora meno capire. Sarebbe poi stato il mare a raccontarmi di mia madre, di quel giorno in cui guardò i miei occhi, bianchi, e seppe che non avrei visto e seppe che nessuno avrebbe potuto vedermi.
S’inginocchiò, prese una grossa pietra e fece ciò che andava fatto. Mi donò all’infinito.
La madre di Drika invece sorrise quando lei venne alla luce. La prese tra le braccia, la alzò verso il cielo e lei rimase lì, di carne, tra le sue mani. Non volò via. Lei è cresciuta, è bella, è viva.
Ed io la guardo da sempre, da quando ho potuto imparare a guardare, da quando sono diventato aria, da quando quella pietra mi ha rimesso al mondo, per sempre. Da quando mia madre si salvò da quel demone che le aveva abbracciato il ventre, che le aveva violentato la felicità.
Così mia madre si salvò, salvò sé stessa e anche me. Mia madre mi chiuse gli occhi e me li aprì per sempre.
Divenuto etere posso vivere, solo come aria, solo come vento.
Posso essere amato, da Drika, quando sorride mente io le scompiglio i capelli. E posso amare, mia madre, il suo oblio e la mia luce.
Come aria vivo, silenziosamente presente, e si accorgono di me solo in certi giorni, quando il silenzio mi lascia parlare ed io canto, come fanno certe emozioni nel cuore umano, solo per quelli che mi possono capire.
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