…mio figlio Brian ha vent’anni, la mia età quando l’ho partorito. È cadetto all’Accademia Navale della Marina militare peruviana. Alex è il secondo, ha due anni meno di Brian e vuole diventare ingegnere meccanico. È all’ultimo anno delle superiori e presto dovrà sostenere l’esame per accedere all’università. Poi c’è Rosskiara, che ha 14 anni. Si sente (e lo è) già signorina: è vivace e molto intraprendente, segue un corso da estetista.
Per loro sono partita o forse meglio dire fuggita.
Quando ero ragazza, ancor più giovane di Rosskiara, mio padre rientrava spesso a casa sbronzo, prima picchiava mia madre e poi noi figli. Per molti anni è stato così, sin quando non siamo riusciti a difenderci o a scappare.
Poi mi sono sposata, in attesa di Brian, per diventare asservita a un altro uomo, mio marito e alla sua famiglia. Un giorno, Rosskiara doveva ancora compiere i quattro anni, l’ho scoperto con un’altra donna: con lei si divertiva e spendeva i pochi soldi che entravano in casa. Mio marito non mi ha mai picchiata, ma sapere che aveva una relazione mi ha dato la forza di non guardarmi indietro e partire per cercare un futuro per i miei figli e per me.
Avevo sentito da amici e lontani parenti racconti di altri emigrati peruviani in Italia, quasi tutte storie a lieto fine. Diedi quella destinazione ai miei sogni.
Prima però ho fatto la garzona in un mercato e ho venduto ciò che mi era rimasto per lasciare qualche cosa ai miei figli; ho richiesto un piccolo prestito per aprire un chiosco di alimentari, gestito da mia madre, per garantire così a loro, anche in mia assenza, un minimo di sostentamento.
Il giorno della mia prima partenza, Alex, mentre mi accompagnava in bus sino all’aeroporto, stringendosi a me e ipotizzando anche la possibile caduta dell’aereo per mancanza di benzina, mi supplicava di non lasciarli. Arrivati a Lima, in aeroporto, è riuscito a passare i controlli di sicurezza. Invocava il mio nome tra mille strilli e pianti: – mamma non partire…mamma non partire – sento ancora oggi quel grido. Non mi voltai, salii sull’aereo con le lacrime che mi segnavano il viso, piansi per tutto il viaggio. Alex aveva solo otto anni.
Fu la mia fortuna, chiamiamola così, sicuramente quella dei miei figli. Possono studiare e avere una casa in muratura grazie al mio lavoro qua.
Già il mio lavoro.
All’inizio è stata dura. Non tanto per la fatica, sin da bambina mi svegliavo alle cinque per aiutare mio padre che teneva un “establo”, una bancarella. A mezzogiorno andavo a scuola e al termine delle lezioni ritornavo al lavoro, a volte fino a mezzanotte. Ho studiato solo sino ai 13 anni.
In Italia raggiunsi alcuni conterranei che anticiparono i soldi per il mio viaggio; mi misero subito a far pulizie nella case di signori pugliesi. Solo dopo qualche tempo mi accorsi che mi sfruttavano moltissimo. In pratica si trattenevano metà di quello che incassavano per il mio lavoro, inoltre pretesero per il rimborso del biglietto anticipatomi una cifra tre volte superiore al costo reale.
Lasciai quell’ambiente, anche se minacciata. Per i primi mesi successivi, con l’aiuto di altri peruviani, mi arrangiai preparando cibo e vendendolo nei parchi. Conobbi altre persone e grazie al tam-tam solidale ricevetti una chiamata per un appuntamento di lavoro. Da quel momento è cambiato tutto.
Sono regolare grazie a brave persone italiane che mi hanno aiutato, ospitato senza chiedermi nulla anzi, dandomi la possibilità di lavorare. Il lavoro non è cambiato, pulisco case e uffici, ma per conto mio, meglio per contatto diretto.
Qui ho imparato che esiste un altro modo di vivere. Voi italiani siete più liberi, non solo per le possibilità economiche, per una mentalità completamente diversa, anche nei costumi e noi donne siamo considerate alla pari.
La vostra società è avanti cent’anni rispetto a quella peruviana, basti pensare all’assistenza sanitaria o pensionistica che avete, anche se ve ne lamentate. Da noi non è così. Solo se sei un dipendente dell’amministrazione pubblica o di una grande azienda privata hai diritto con la tua famiglia all’assistenza sanitaria, la pensione è solo con fondi privati, come negli Stati Uniti, ma con un reddito dieci volte inferiore.
In Italia ho imparato molto, in tutto. Chissà se fossi giunta in un altro paese, sarebbe stato uguale? A volte me lo chiedo, ma non so darmi risposte. Così è stato e così è.
Una volta all’anno torno a casa, in un Distretto a 30 km da Lima. Rivedo i miei figli e la parte della famiglia che mi è rimasta. Vivono tutti nella casa in muratura che sono riuscita a costruire. La casa in mattoni è sempre stato il mio sogno. Una tempo stavamo in una casa fatta di paglia, di legno e di quello che si recuperava; quando pioveva il fango invadeva tutti gli spazi, persino il letto. Da noi i più vivono così, in case acconciate in qualche modo.
Con skype riesco spesso a comunicare con i miei figli e a condividere, a distanza, la loro crescita. Quando vado in Perù, la mia gente ha di me una considerazione che prima non aveva e se fossi rimasta là, nonostante sia sempre io, non l’avrebbe mai avuta.
Un giorno, non lontano, conto di tornarci per sempre e seguire i miei figli oramai grandi, magari con dei nipoti da accudire. Non starò ferma, aprirò una mia “tienda”, un negozio vero e sicuramente in muratura, portando anche con me sapori italiani.
La Pollada di Rossmery
Mi piace tantissimo la cucina italiana, quasi come quella del mio paese. Amo cucinare e trovando molti prodotti peruviani ogni tanto preparo, con molto gusto per gli ospiti, piatti tipici andini.
Volete sapere come cuciniamo noi i fagioli o il pollo. Vi do la mia ricetta della Pollada.
Prendete un pollo da circa 1 kg intero e aperto a libro, riponetelo in un contenitore adatto alla marinatura, che dovrà durare almeno dodici ore, e mettetelo in frigorifero. La marinatura è così composta: un quarto di litro di aceto bianco; quattro cucchiai di olio di soia; un bicchiere di birra scura; quattro spicchi d’aglio tritato; un cucchiaio di zucchero di canna; un peperoncino rosso (aji panca) sbollentato dieci secondi e pelato; sale e pepe. Rigiratelo nella marinatura almeno tre volte.
Levatelo dalla marinatura e umido com’è ponetelo sulla griglia in una zona dove la brace non sia molto ardente. Rigiratelo di tanto in tanto. Ci vorrà poco più di un’ora. L’interno deve essere cotto bene.
Potete farlo anche al forno. In una teglia a 170 °C per circa un’ora e mezza, rivoltandolo qualche volta.
Va accompagnato con patate arrosto e “papa a la huancaina”, una salsa tipica peruviana a base di aji amarillo, un peperoncino giallo.
La preparo spesso con i miei amici peruviani che qui sono numerosi e come me sono arrivati per cercare un lavoro e una vita diversa, un futuro. Con loro, nei giorni di festa grande, passo serate danzanti e momenti di revival.
Scambi Italo-Peruviani
Secondo dati Istat, all’inizio del 2015 i peruviani in Italia erano 109.668 (il 2,2% dei circa cinque milioni di stranieri residenti in Italia) e la Lombardia è la regione che ne accoglie il numero maggiore (il 44,1%).
Nella classifica tra le città europee che ospitano nativi peruviani Milano è seconda dopo Madrid. Sono circa 40mila e rappresentano, per numerosità, la quarta collettività straniera dopo i filippini, gli egiziani e i cinesi. Nella provincia sono la quinta e sono preceduti da egiziani, filippini, rumeni ed ecuadoregni. Nel registro milanese delle imprese aperte da stranieri sono terzi dopo i cinesi e gli egiziani.
Sono per la maggior parte donne (più del 60%) e quasi il 18% dei peruviani residenti a Milano è nato in Italia, un terzo ha un età inferiore ai 18 anni e frequenta normalmente scuole italiane, quasi la metà non supera i 45 anni. Più del 40% ha completato studi secondari (tecnici o professionali). La maggior parte degli impiegati lavora nei servizi domestici e nelle pulizie, gli uomini sono soprattutto operai, magazzinieri e muratori, le donne sono infermiere o addette alla cura di anziani e bambini.
I dati sono elaborazioni da documenti dell’Istat, del Ministero degli Esteri del Perù e del Consolato Generale del Perù a Milano.
La fine degli anni 80 e i primi anni 90 hanno registrato il flusso maggiore di immigrazione peruviana in Italia. Negli anni seguenti non si è mai arrestata ma è fortemente calata.
Nel 1800 invece il flusso era di direzione opposta: erano gli italiani ad emigrare in Perù. Nel 1876 se ne contarono circa dieci mila, in maggioranza liguri. Cifra significativa per quell’anno ma irrilevante se paragonata ai numeri del grande flusso migratorio degli italiani verso l’America, in particolare verso gli Stati Uniti, l’Argentina e il Brasile, che nei venti anni successivi superò i dieci milioni di trasferimenti e altrettanti se ne contarono negli anni intorno al 1910. Oggi gli italiani residenti in Perù sono circa tre mila.
Tra gli emigranti italiani in terra peruviana, oltre a Giuseppe Garibaldi che vi approdò nel 1851, spicca la figura di Antonio Raimondi, geografo milanese che partecipò alle Cinque giornate di Milano e, costretto ad esiliare, nel 1850 si rifugiò in Perù. Qui divenne una delle personalità scientifiche più importanti nella storia di quel paese fino ad essere considerato tra i fondatori del Stato moderno peruviano. Esploratore e naturalista enciclopedico, scoprì giacimenti minerari e definì i tracciati delle ferrovie peruviane. Per i suoi studi sul territorio (dal punto di vista biologico, geologico, meteorologico, archeologico) nel 1860 fu nominato consulente scientifico del Gobierno peruano, che finanziò le sue spedizioni e la pubblicazione delle sue opere. Porta il suo nome una provincia peruviana, un museo e una scuola-collegio a Lima. Conseguì riconoscimenti accademici in Francia, Germania e nel Regno Unito ma in Italia fu dimenticato ed è ancora oggi poco conosciuto.
Testi e foto di Rossmery