Lo spunto anzi il dubbio lo devo a Elias Canetti. O meglio a un suo libro La lingua salvata, dove racconta e si racconta negli aspetti più intimi e familiari legati intrinsecamente alle diverse lingue da lui parlate.
Canetti nasce in Bulgaria e cresce in Inghilterra, figlio di ebrei sefarditi di lontane origini spagnole (la madre era italiana e il padre era nato in Turchia). A scuola imparava il bulgaro ma in famiglia parlava tedesco, lingua che i genitori avevano studiato negli anni vissuti a Vienna e che ritenevano più colta.
Il romanzo di Canetti mette in luce qualcosa di molto sottile: l’importanza delle lingue d’affezione, legate alle proprie radici familiari. Le sue considerazioni mi portano a rivalutare il mio spagnolo materno, poco castigliano e molto meticcio, e così anche il mio italiano.
Comincio a investigare nella storia e nella cultura nostrana e scopro un microcosmo di storie, tradizioni e influenze culturali, che si uniscono e si fondono in un crogiuolo di lingue arcaiche e dialetti.
Mi si svela un volto forse poco noto dell’Italia: quello della sua multiculturalità.
La multiculturalità in Italia
Il primato regionale del nostro multilinguismo storico se lo contendono due veri e proprio arcipelaghi linguistici in Calabria e Puglia.
Greco, albanese e provenzale in Calabria
Partiamo dalla punta più a sud, la Bovesia, un’area geografica che si affaccia sul mar Ionio, amministrata dalla città metropolitana di Reggio e storica base ellenofona in Calabria.
Qui, oltre all’italiano, si parla grecanico, una lingua molto diffusa in tutta la regione prima dell’unificazione italiana, poi duramente osteggiata negli anni Trenta del Novecento dalle politiche linguistiche fasciste, che ne fecero materia di derisione rendendo un insulto espressioni come “mi sembri un Greco”.
Il grecanico, dal punto di vista linguistico, viene considerato molto vicino al greco dorico, parlato nella Magna Grecia, ma segue una propria evoluzione indipendente in relazione al greco ellenistico soprattutto per l’isolamento secolare.
Il Grecanico è, infatti, una lingua arcaica attualmente parlata da circa un centinaio di persone, perlopiù anziane.
La Calabria ha, tra gli altri, il vanto d’essere la regione con la più nutrita comunità arbëreshe d’Italia. Si tratta di una comunità distribuita in modo omogeneo in tutta l’Italia meridionale (Calabria, Puglia, Sicilia e Abruzzo).
Questa minoranza etnico linguistica, detta anche degli “albanesi in Italia”, si è stabilita qui tra XV e XVI secolo, a seguito della conquista turco ottomana di tutti i territori del ex impero bizantino.
Italo-albanesi, come croato-molisani, fuggirono dalle persecuzioni religiose. Si spostarono dalla zona meridionale albanese in prossimità della Grecia e adottarono il dialetto tosko, originario proprio del Sud Albania.
Un fattore importante che portò gli arbëreshe a un inserimento abbastanza omogeneo e non troppo difficoltoso nella società italiana fu un punto in comune con essa: la fede cristiana. Testimonianza della loro integrazione sono i vari albanesi-italiani, di generazione successive alla prime giunte in Italia, che nel corso della nostra storia ebbero anche ruoli di prestigio nella società italiana, dal primo presidente meridionale del Consiglio, il siciliano Francesco Crispi al sardo Antonio Gramsci, entrambi appartenenti a minoranze albanesi.
Perseguitati per la loro religione furono anche i valdesi che si rifugiarono a Guardia Piemontese, un tranquillo comune cosentino, con meno di duemila anime, la cui peculiarità è d’essere un’isola linguistica dell’occitano (o lingua d’Oc), lingua provenzale originaria della Francia meridionale.
Il guardiolo è, infatti, una variante dialettale occitana parlata correntemente soltanto nel piccolo comune. Fondatori del paese furono proprio dei rifugiati piemontesi di religione Valdese che, stufi delle persecuzioni religiose subite, cercarono pace e tranquillità tra i monti calabresi intorno al XII secolo.
Il griko del Salento e il faetano di Foggia
Compagna della Calabria, per ascendenze albanesi, è la Puglia. Insieme alle influenze albanesi, qui sono numerose anche quelle greche. La zona di influenza greca, storicamente chiamata Grecia Salentina, conta circa nove comuni e più di diecimila abitanti.
La lingua qui utilizzata è il Griko, di origini ellenica, simile al grecanico Calabrese ma con una maggior diffusione dovuta alla sua prolifica produzione di canti e ballate popolari.
Il caso pugliese più interessante è, però, il dialetto faetano. Questo, circoscritto a piccole zone appenniniche della provincia di Foggia, è probabilmente di derivazione franco-provenzale. Le fonti più accreditate riguardo alle sue origini parlano di uno stanziamento di guarnigioni francesi di Carlo I, avvenuto intorno al 1266 a seguito della battaglia di Benevento.
Le indagini fonologiche trovarono collegamenti linguistici con la regione del Rodano vicino a Lione. A seguito della massiccia emigrazione dall’Apuania verso il Nord America questo particolare dialetto è stato studiato perfino oltreoceano, soprattutto a Toronto.
Nonostante i numerosi studi che gli hanno dato nuova luce, il faetano viene classificato dall’Unesco come minoranza linguistica in via d’estinzione a causa del disuso da parte delle nuove generazioni e la progressiva emigrazione dalla zona.
Catalani ad Alghero
Uno dei casi più interessanti è sicuramente il dialetto algherese, o meglio il catalano orientale, che tutt’ora ad Alghero viene parlato dal 20% della popolazione, riconosciuto e tutelato con le Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche.
La formazione di questa isola linguistica è da cercare oltre cinque secoli fa. Le mie ricerche mi portano all’espansione catalano-aragonese in Sardegna, qui scopro che il catalano importato ha resisto fino ai giorni nostri, senza lasciarsi abbattere dalle politiche linguistiche di “italianizzazione” durante il ventennio fascista.
Croati in Molise
Un caso altrettanto particolare, ma forse maggiormente di nicchia, riguarda i croati-molisani: un’antica comunità che risale a più di 400 anni fa. La loro storia è collegata all’invasione ottomana nei Balcani che provocò un esodo cristiano della penisola balcanica verso le opposte coste adriatiche, soprattutto per il porto franco di Termoli.
La loro lingua, il na-našu o croato-molisano, è una lingua slava meridionale parlata attualmente solo da tre piccoli comuni in provincia di Campobasso. Questa lingua è legata a un uso prevalentemente orale. Le testimonianze letterarie sono rare ed essa si conserva soprattutto nell’ambito familiare contadino, dove viene trasmessa e protetta come – per dirla come Canetti – una lingua da salvare.
Il particolare sviluppo linguistico dello slavo molisano, distante e indipendente per oltre quattro secoli dal croato originario, ha seguito un’evoluzione fonetica propria che lo porta a poter essere classificato, a tutti gli effetti, come un dialetto autonomo.
Questi particolari casi possono mettere in luce, io credo, una profonda verità riguardo all’identità italiana. Il fatto che questa identità sia frutto di conquiste e approdi di numerosissimi popoli, molto diversi tra loro per storia, cultura e lingua.
L’Italia è dunque un paese nato dal multiculturalismo, fatto di esso, e da questo non può prescindere. Un paese anche di forti tradizioni familiari che hanno saputo proteggere e salvare la bellezza del proprio patrimonio culturale, difendendolo e allo stesso tempo condividendolo, proprio come si fa con una “lingua salvata”: proteggendola ma mantenendola in vita continuando a diffonderla.
Testo di Nestor Gobbi – Immagini dal web