La transumanza degli yak

Una giornata indimenticabile e splendente con Messner, ai piedi del Gran Zebrù, accompagnando i suoi yak all’alpeggio estivo.

Se non sai cosa sia uno yak, se non lo hai mai visto da vicino, se non hai mai vissuto una transumanza, attività pericolosamente in estinzione, hai già tre buoni motivi per partecipare alla transumanza degli yak.

E la sola possibilità che hai in terra d’Italia, ridente stato membro dell’Unione Europea, è andare a Solda, in val Venosta (Trentino Alto Adige), e presentarti puntuale all’appuntamento con Reinhold Messner alla base della funivia.

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Sarà proprio lui, il re degli Ottomila, icona dell’acqua altissima, levissima, purissima, a guidare la transumanza dei suoi yak. Dalla valle di Solda agli alpeggi del Madriccio ai piedi del Gran Zebrù, una delle cime del Gruppo dell’Ortles, dove gli yak trascorreranno l’estate, per poi ridiscendere spontaneamente a Solda, al manifestarsi delle prime nevi, annunciando così l’arrivo dell’inverno. Messner lo fa da trent’anni, a fine giugno, ma solo da una decina ha deciso di aprire al pubblico questa sua esperienza di pastore (per informazioni 0473.613015, info@ortlergebiet.it oppure www.ortler.it).

Non so esattamente dove sia Solda, ma ormai è deciso: partecipo alla transumanza. Quando capisco dove si trova mi rendo conto che dal centro Italia, dove vivo, è ancora più lontana di quanto avessi immaginato: un viaggio di quasi 800 km, se si va in macchina il tempo stimato è di oltre otto ore. Troppo faticoso perché è mia intenzione partecipare alla transumanza e poi tornare a casa. Escludo la macchina e cerco su www.db.de altre soluzioni, che sono varie combinazioni di treni e autobus.

Parto insieme ai 35°C di una splendida ma calda-calda-calda giornata di inizio estate e dopo un allegro balletto di saliscendi da quattro treni e un autobus, raggiungo Solda e i suoi 17°C.
Martedì 28 giugno 2016 alle 9.30, con il sole perso in un cielo azzurro-azzurro, parte la transumanza, secondo un rigoroso schema altoatesino: prima Messner, poi gli yak e, a una distanza di trenta metri, tutti i partecipanti all’escursione. Per ultimi quelli con i cani a guinzaglio.
Gli yak sono in tutto 15 esemplari, tra adulti e vitelli, maschi e femmine, bianchi e neri.

“Sono animali molto aggressivi, perciò state lontani” ci ripetono continuamente gli aiutanti, attenti ad evitare incidenti.
Non credo che siano animali aggressivi, ma lo possono diventare se avvicinati da un gruppo così numeroso di persone, al quale non hanno avuto il tempo di abituarsi; può bastare un gesto inconsapevole, un rumore sconosciuto e per difendersi possono attaccare l’uomo. E poi ci sono i cuccioli da proteggere e questo li rende ancora più sensibili e attenti agli estranei.

Cominciamo a salire, con un tripudio di macchine fotografiche, cellulari e telecamere, pronti a rubare un attimo, un atteggiamento, uno sguardo, un gesto affettuoso. Facciamo una sosta in un piccolo pianoro e finalmente li possiamo vedere più da vicino. Sono tranquilli, i grandi ci guardano, mangiano e poi ci guardano ancora, i piccoli mangiano e basta.

Intanto Messner rilascia autografi, interviste e qualche raro sorriso.
Li accompagniamo fino al bordo del torrente, poco sotto il rifugio Città di Milano, e da lì li lasciamo proseguire da soli verso gli alpeggi.
È un bel momento, ci guardano ma noi non li seguiamo più. Alcuni di loro provano anche a tornare verso di noi, ma nel loro gesto non vedo aggressività né pericolo, scorgo solo affetto. Pronti, gli aiutanti li rimandano indietro. Consideriamolo il loro saluto.

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È arrivato il momento di scendere dalla montagna e ripercorrere a ritroso gli 800 km verso il Lazio, questa volta, però, rivivendo le immagini degli yak al pascolo.

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Lo Yak, questo sconosciuto

Lo yak è l’animale simbolo dell’altopiano del Tibet, dove vive tra steppe e praterie di alta quota, dai 2000 ai 6000 metri. Sono bovini dal pelo lungo e folto e resistono a temperature fino a 40°C sotto zero, per la loro capacità polmonare e l’elevato tasso di emoglobina nel sangue. Vengono utilizzati come animali da soma per il trasporto dei materiali in alta quota.

Vivono sull’altopiano del Tibet, nel Pamir e sulle pendici dell’Himalaya. Sono stati introdotti in Italia negli anni 80 da Messner, che ne portò alcuni esemplari dal Tibet. Oggi, dopo 35 anni dal loro primo arrivo in Italia, oltre che in Alto Adige, sono presenti anche sul Gran Sasso e nel Bellunese.

In Italia sono utili per tenere pulite le montagne d’alta quota, dopo anni di abbandono. Si nutrono, infatti, anche di giovani alberi, che pecore e mucche disdegnano perché troppo duri. Contrastano così l’avanzare dei boschi e tengono puliti i sottoboschi, riducendo il rischio di incendio.

La carne di yak, inoltre, è nutriente, leggera, saporita e, soprattutto, priva di colesterolo, come sottolinea più volte Messner. Anche burro e formaggi sono ottimi.