In plaza de la Republica ci sono un sacco di panchine, ma quando arriva il caldo conviene aspettare che il sole scenda un po’ per potersele godere. Non troppo però, perché quando si fa spazio la sera il termometro viaggia spedito verso lo zero. E poi non è che ci sia molto da fare nel mezzo del deserto di Atacama.
Un elmo nel deserto
El Salvador è l’ultima città mineraria del Cile. Vista dall’alto sembra un elmo. Qualcuno sostiene che sia stata costruita così per volere di un alto dirigente della Andes Mining Copper Company il cui figlio durante un sopralluogo per la realizzazione del nuovo accampamento perse un elmetto giocattolo che portava sempre con sé.
La realtà, come spesso accade, è invece molto meno affascinante: l’architetto Raymond Olson cercò di creare uno spazio funzionale per le necessità della nuova città che stava sorgendo e in armonia con le caratteristiche del terreno. Se fuori tutto era deserto, nella pancia di uno dei luoghi più aridi del pianeta si nascondeva un tesoro da far fruttare: il rame.
Era il 1959 e da allora poco o nulla è cambiato. A El Salvador ancora oggi si va soltanto per due motivi: lavorare o giocare a pallone. E le due cose sono strettamente collegate.
Il passatempo dei minatori
Nel 1979 El Salvador si apprestava a vivere un vero e proprio boom. Mentre l’intero Paese doveva fare i conti con la dittatura del generale Pinochet, nel cuore del deserto di Atacama la popolazione della nuova città fondata vent’anni prima continuava a crescere. Le miniere non erano più private, ma di proprietà dello Stato, e a El Salvador vivevano ormai più di quindicimila persone.
Oltre al lavoro però, la città aveva poco da offrire e il rischio che i minatori alzassero la voce era quanto mai alto e quanto di più pericoloso per un regime dittatoriale.
In questo contesto nacque allora l’idea di dare ai lavoratori un passatempo: il calcio. Il 5 maggio venne fondato il Cobresal, la squadra di El Salvador. Da allora trenta campionati in Primera e una coppa del Cile, ma soprattutto un campionato nel 2015. Storico, non tanto per l’importanza del titolo, ma il momento in cui si è concretizzato.
Per chi non c’è più e per chi è rimasto
Il 25 marzo 2015 El Salvador, così come tutta la regione di Atacama insieme a quelle di Antofagasta e Coquimbo, venne colpita da una violenta alluvione, che trasformò in poche ore il deserto in un fiume di fango e detriti, che oltre a fare milioni di danni si portò con sé più di trenta vite.
Il Cobresal, che in quel momento guidava il campionato per la prima volta nella sua storia, fu costretto all’esilio a Santiago. Il Cobre, il suo stadio, non era più agibile. Ci fecero ritorno in tempo però per l’ultima di campionato e per alzare il trofeo al cielo di El Salvador.
Un sorriso per i minatori, incastrato in anni infernali. Non soltanto per l’alluvione, ma per la lenta, ma costante depressione che aveva avvolto la città.
Nel luglio 2015 Codelco aveva infatti annunciato la chiusura della principale miniera della zona, arrivata ormai ad esaurimento, lasciando così El Salvador senza un futuro.
Da allora la popolazione è andata via via diminuendo: dai quindicimila degli anni d’oro agli ottomila di oggi, nonostante l’azienda garantisca casa, servizi e istruzione gratuiti. E il Cobre, ora più che mai, sembra una cattedrale nel deserto.
Uno stadio da ventimila posti (anche se oggi sono poco più di undicimila quelli omologati) per una città che viaggia tristemente verso i settemila abitanti e che infatti ha la media spettatori più bassa dell’intero campionato: 1.050 nell’ultima stagione pre Covid.
Il futuro è degli immortali
C’è però uno spiraglio di luce nel buio che avvolge il futuro de El Salvador. Dopo un lunghissimo dibattito politico e sociale che ha coinvolto tutto il Cile, a maggio Codelco ha dato ufficialmente il via al progetto Rajo Inca con un investimento da 1.145 milioni di euro.
In sostanza, verranno messi in atto interventi che permetteranno di far rinascere la miniera dichiarata esaurita nel 2005, dandole vita almeno fino al 2065. Gli interventi dovrebbero concludersi nel 2023, ma rappresentano un passo fondamentale per evitare la scomparsa di El Salvador e con essa del Cobresal.
Da anni si parla di un trasferimento del club altrove o di una fusione con altre realtà del territorio, nella speranza di dare una base più solida al progetto. Il Rajo Inca però ha cambiato le carte in tavola.
D’altronde il Cobresal negli anni ha guadagnato un soprannome. Un po’ per la natura della sua città e dei suoi abitanti, un po’ per il carattere che la squadra ha sempre messo in campo, soprattutto nei momenti più difficili.
In Cile li chiamano “Gli immortali”. E guardando la storia di El Salvador non è difficile capire il perché.