Glorenza: una piccola città dal passato glorioso

Glorenza, circondata da prati e filari di mele ha un recinto murario a forma di trapezio perfettamente conservato.

“La nostra città è così piccola che dobbiamo andare a messa fuori dalle mura”, dicono i circa mille abitanti di Glorenza (Glurns in tedesco), la più piccola città dell’Alto Adige, forse d’Europa, e uno dei borghi più belli d’Italia.

Un vero gioiello architettonico racchiuso in una fortezza.

Circondato da prati e filari di mele, il recinto murario è a forma di trapezio e perfettamente conservato. Le mura sono alte sette metri e larghe uno e mezzo. Caratterizzate da 350 feritoie, sono intercalate dalle tre massicce porte torri quadrangolari (di Tubre, Malles e Sluderno) e da una serie di torrette di guardia cilindriche.

Al di là della Porta di Tubre, oltre l´Adige, c’è la Chiesa parrocchiale di San Pancrazio, risalente al XV secolo, ma di origine romanica, come testimonia il campanile cui è stata aggiunta nel 1664 la cupola barocca a cipolla. Sulla parete nord del campanile si ammira un grande affresco raffigurante il Giudizio Universale.

Sul lato opposto, superata la Porta di Sluderno, troviamo la prima, e finora unica, distilleria italiana di whisky (Distilleria Puni). Una costruzione recente, caratterizzata da un cubo di 13 metri di altezza racchiuso da un involucro di mattoni rossi che ricorda le tipiche costruzioni dei fienili della regione.

All’interno delle mura il borgo ha la tipica struttura medioevale; singolare e pittoresca la via dei Portici, ancora oggi, come in passato, utilizzata per il mercato contadino del sabato mentre la piazza del Mercato (accanto a Porta Tubre) con una grande fontana al centro è palcoscenico per allegre feste come quella della Giornata della pera “Pala” Venostana, per il mercatino natalizio dell’Avvento e per il Sealamorkt (Mercato delle anime), che si tiene ogni 2 novembre per la ricorrenza del giorno dei defunti).

Percorrendo le strade interne, a ogni angolo possiamo ammirare scorci delle torri e della pittoresca architettura rurale, con case dai tipici Erker (le finestre-balcone) e facciate decorate con affreschi. Coloratissimi gerani ornano ogni finestra. Splendida con il suo erker e gli interni affrescati, è la signorile Casa Frölich, decorata con una bella meridiana e con gli stemmi di Balthasar Frölich e delle sue due mogli. Il dipinto della facciata posteriore è un´allegoria rinascimentale dei sette peccati capitali, di cui si sono conservati solo la superbia e l´avarizia. L´edificio adiacente, dal bel portone rinascimentale con i cavallucci marini intrecciati, ospita l´Albergo Corona.

Sempre in via dei Portici si trova la Torre Flurin, che dal 1499 al 1931 fu sede del tribunale e dal 1825 ospitò anche il carcere. Da segnalare anche Casa Gebhard in via Argento con le finestre decorate a graffito e la Hössische Behausung accanto a porta Malles, con un delicato erker sulla facciata esterna.

I visitatori sono spesso incuriositi da alcune scritte in gesso riportate sulle porte delle case. Sembrano codici misteriosi e fanno parte di antiche tradizioni religiose legate ai riti dell’Epifania e della benedizione delle case.

Lo stile della scritta, arricchita di croci, trattini, asterischi e altri simboli sacri e profani è in genere della forma 20+C+M+B+16. I numeri all’inizio e alla fine vanno letti insieme e rappresentano l’anno (nel nostro caso 2016).

Sulle lettere in mezzo ci sono due interpretazioni, entrambi plausibili: per qualcuno è la semplice abbreviazione di “Christus Mansionem Benedicat”, cioè “Cristo benedica questa casa”, preghiera recitata nei giorni tra il Natale e l’Epifania, dal prete tirolese che fa il giro delle abitazioni e ne benedice i locali. Il religioso passa di stanza in stanza, senza dimenticare la stalla, recita preghiere, sparge incenso e, pronunciando la formula “Christus Mansionem Benedicat”, segna sopra la porta l’avvenuta benedizione.

Per altri è invece l’abbreviazione di Caspar, Melchior, Balthasar, cioè dei nomi dei tre Re Magi. Secondo una tradizione tedesca e austriaca, conosciuta come Sternsinger (i cantori della stella), nel giorno dell’Epifania bambini vestiti da Re Magi portano dei dolci nelle case degli abitanti, annunciando la nascita di Gesù con un breve canto, in cambio ricevono offerte per la Chiesa o per altre opere di beneficenza. Per testimoniare il loro passaggio lasciano una scritta sulla porta.

Già in epoca romana Glorenza era un importante crocevia sia per la Via Claudia Augusta che per l’antica via commerciale verso la Svizzera (il confine elvetico oggi è a meno di dieci km, mentre quello con l’Austria è al Passo Resia, a circa 23 km).

Alla fine del 1200 i regnanti del Tirolo le concessero il diritto di tenere mercato, il privilegio di un peso di misura per i cereali e le attribuirono la denominazione di “civitas”. Nel 1496 vi si tenne il Congresso di Malles e Glorenza con la partecipazione di Ludovico Sforza, il suo consigliere Leonardo da Vinci e Massimiliano I d’Asburgo.

Tre anni dopo nella battaglia del Calven (appena fuori Glorenza) si scontravano le truppe ausburgiche con quelle della confederazione di tredici cantoni svizzeri. Si contarono 7.000 morti e la città fu rasa al suolo, come ricorda una stele posata in occasione del cinquecentenario della battaglia.

Dopo questa distruzione, l’imperatore Massimiliano decise di ricostruirla e di munirla di mura (che si sono conservate intatte fino ai nostri giorni), per servire da testa di ponte verso i loro possedimenti svizzeri. Perduti questi poco tempo dopo, Glorenza conobbe comunque lunghi secoli di prosperità come città mercantile, grazie soprattutto al commercio del salgemma proveniente da Hall (Tirolo settentrionale) e destinato in Svizzera.

Nel 1500 Glorenza divenne sede di un tribunale civile (in precedenza situato a Malles) e tra i processi che ci sono stati tramandati vi fu quello dell’ottobre 1519, istruito a seguito di una denuncia sporta da tale Simon Fliess, abitante di Stelvio, per conto dei suoi compaesani, contro il giudice Wilhelm Hasslinger, accusato di non aver fatto abbastanza per contrastare la presenza dei ratti nella zona.

Un tribunale popolare decise la sorte di migliaia di topi. All’epoca infatti, secondo la legge asburgica, era proibito far del male agli animali se non dopo un regolare processo. Il verdetto fu di costruire un ponte che permettesse ai topi di oltrepassare incolumi il fiume Adige e di dar loro un campo sufficientemente grande perché si potessero sfamare. Potrebbe essere una riedizione del pifferaio magico ma come li abbiano convinti ad abbandonare il paese, rimane un mistero.

Il campanile in mezzo al lago

Il campanile che oggi sembra spuntare dall’acqua del lago, è tutto quello che rimane del vecchio paese di Curon in Val Venosta. Fino al 1950 era un borgo come tanti delle montagne altoatesine: poche case, una chiesa e un piccolo albergo.

Attorno campi e frutteti che circondavano tre laghetti, quello di Curon e delle due frazioni di Resia e San Valentino alla Muta. Poco lontano, seguendo il percorso della Via Claudia Augusta tracciata dai romani, il confine con l’Austria e quello svizzero.

Per sfruttare le risorse idriche producendo energia, nel 1920 si progettò la costruzione di una diga artificiale. Avrebbe innalzato le acque dei laghi di cinque metri ma senza toccare le case dei paesi limitrofi. Nel 1939 il gruppo industriale Montecatini si aggiudicò la concessione e stravolse drasticamente il progetto: l’innalzamento previsto del lago salì a ben 22 metri, trascurando totalmente le esigenze della popolazione. Bloccato per alcuni anni a causa della guerra, il piano riprese nel 1950. In primavera iniziò lo smantellamento delle case (rimase in piedi solo il campanile romanico del 1300, sotto tutela storico-artistica) e la sera del 16 luglio Curon e le frazioni di Resia, Arlung, Piz, Gorf e Stockerhöfe furono interamente sommersi. I tre piccoli laghi formavano ora una sola distesa d’acqua.

Gli abitanti, che con una manovra burocratica furono espropriati delle proprie case a fronte di un blando indennizzo, assistettero impotenti alla distruzione del proprio passato dalle baracche approntate dal gruppo industriale per ospitarli. Per loro, anche se oggi il paese è stato ricostruito non lontano dal lago, quel campanile in mezzo al lago non è un richiamo turistico, ma il malinconico ricordo del paese sommerso.

Quando la neve invade la valle, la superficie del lago si ghiaccia completamente e il campanile è raggiungibile a piedi. La campana non c’è più: gli abitanti di Curon la portarono in processione prima che venisse sommerso il paese, ma nel silenzio invernale qualcuno giura di sentirla ancora suonare.

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Tre fontane di Trafoi

Trafoi è una manciata di case, qualche albergo, una chiesetta, un campeggio e un interessante museo sul parco dello Stelvio (Naturatrafoi), sparsi nei campi di una vallata ai piedi dell’Ortles. Il tutto racchiuso tra il 44simo e il 47simo tornante della, mitica strada dello Stelvio, versante altoatesino, tanto amata da ciclisti e motociclisti. Tra le varie escursioni che offre un soggiorno in questa oasi di tranquillità, segnaliamo una passeggiata nei boschi per raggiungere il Santuario delle Tre Fontane, che è possibile raggiungere comodamente anche in macchina (attraverso una stradina di due chilometri che parte dal campeggio).

Il santuario sorge in una valle franosa, piena di corsi d’acqua e cascate che scendono dai ghiacciai dell’Ortles e dalle cime di Madaccio ed è formato da una chiesa più grande, risalente al 1229, una più piccola, del 1600, e da una piccola capanna che racchiude la roccia da cui sgorgano le tre fontane che danno nome al posto.

La storia (o leggenda) racconta che un pastore vide sgorgare da quella roccia tre piccoli corsi d’acqua, da cui uscirono anche tre croci. Il pastore riuscì ad afferrarne due, mentre la terza scivolò via e non fu mai ritrovata. Le due croci sono state donate alle parrocchie di Stelvio e Müstair e dalla roccia tuttora sgorgano tre piccoli rigagnoli di acqua pura, alla temperatura di tre gradi, che secondo tradizioni locali dispensa miracolose guarigioni.

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Castel Coira

Il castello, posto sopra il paese di Sluderno, gode di una posizione panoramica sulla valle e attrae l’attenzione del visitatore già da lunga distanza. Costruito dai Vescovi di Coira, dopo la metà del 1259, dalla fine del 1200 fino al 1500 appartenne alla famiglia Matsch, per passare successivamente di proprietà della famiglia Trapp, che diede al castello l’attuale aspetto rinascimentale.

Della costruzione originaria rimangono solamente il Maschio e le mura di cinta che racchiudono il cortile interno, mentre il cortile esterno, i bastioni, le terrazze, i giardini e alcuni edifici abitativi, vennero costruiti agli inizi del sedicesimo secolo. Sempre del sedicesimo secolo sono i raffinati affreschi che ornano il loggiato interno, vanto del castello. All’interno è visitabile la stanza di Giacomo VII, dove è conservato un organo del 1559, la sala degli Antenati, l’armeria, dove è custodita una preziosa collezione di armature, tra le quali l’armatura appartenuta a Ulrico IX, alta circa 2 metri.

L’armeria conserva la collezione d’armature più vasta d’Europa. Castel Coira è uno dei pochi castelli del Trentino ancora abitati, in estate e in autunno vi soggiornano infatti i conti Trapp, (in tali occasioni sventola la bandiera con lo stemma di famiglia), mentre durante tutto l’anno il castello è affidato al castellano e alla sua famiglia. È visitabile da Marzo a Ottobre (10-12 e 14-16,30 – visite guidate ogni 15 minuti).

Cosa comprare

Lo speck: Segni particolari? Bollino rosso e scritta SüdTirol. Per provare l’autentico speck è meglio assicurarsi che si tratti del vero Igp, controllato e garantito dal Consorzio Speck Alto Adige. Si ottiene da cosce di maiale disossate, salmistrate con una mistura di spezie (in genere, sale, pepe, ginepro, alloro, rosmarino) leggermente affumicate con legna poco resinosa e muffe nobili a una temperatura non superiore ai 20 gradi.

Una delizia da gustare al naturale, con cetrioli e pane di segale, o con knödel e insalata di crauti. Tra i piccoli produttori, la Macelleria Mair di Glorenza (tel. 0473831207) offre, accanto al proprio speck, prosciutti affumicati di cervo e würstel.

Lo zelten: È un dolce a base di farina, uova, burro, zucchero e lievito con noci, fichi secchi, mandorle, pinoli, uva sultanina e canditi. Il nome deriva dal termine tedesco selten (raramente), perché veniva preparato solo in occasioni speciali, soprattutto in periodo natalizio, con una ricetta conosciuta già nel 1700.

Oggi viene prodotto tutto l’anno ed è diventato il simbolo della pasticceria tipica trentina e tirolese. Zelten e altri prodotti da forno potrete acquistarli nel Panificio Schuster in via Dei Portici a Glorenza.