“These vagabond shoes are longing to stray… I wanna wake up in a city that doesn’t sleep.“
(Frank Sinatra, New York, New York)
Se dovessi scegliere una immagine per descrivere New York la prima che mi viene in mente è l’High Line. Si tratta di una linea ferroviaria sopraelevata della città che è stata convertita di recente in un parco pubblico.
Sta diventando sempre di più la nuova anima di New York, un punto di riferimento per gli abitanti e per i turisti; e credo racchiuda in sé l’elemento che caratterizza la Grande Mela. Attraversandola ci si rende conto di come New York, ma soprattutto Manhattan, non dorma mai. È il simbolo della continua evoluzione di una città che ospita oltre 8 milioni di persone.
La High Line fu costruita negli anni Trenta per decongestionare le strade di New York e impedire che finissero sommerse dagli escrementi dei cavalli. Poi, dopo meno di trent’anni, finì in disuso a causa della diffusione delle automobili, e fu parzialmente demolita nel 1960.
Il pezzo che ne è rimasto è stato convertito in un parco pubblico: una prima parte è stata aperta nel 2009, una seconda nel 2011 e la terza nel 2014. Oggi l’High Line è visitata da cinque milioni di persone all’anno. Ed è proprio in questo nuovo quartiere che ad aprile è stato inaugurato quello che a breve diventerà un nuovo simbolo della città americana: Hudson Yards Vessel.
È conosciuta anche come la scalinata di New York: esprime l’anima poliedrica della città. È difficile spiegare cosa sia esattamente The Vessel: un edificio, una struttura, un’opera d’arte? Forse è l’insieme di tutto ciò.
Ma l’High Line è anche il filo diretto che la città ha voluto mantenere con il passato. Non è un caso che accanto alle nuove costruzioni edilizie (rigorosamente grattacieli altissimi e completamente specchiati) non è difficile sentire nelle narici un forte odore di ferro.
Dopotutto gli Stati Uniti furono la culla della seconda rivoluzione industriale che ebbe come simbolo proprio la rete ferroviaria. E non è neanche un caso che un altro centro nevralgico della vita di New York si svolga proprio intorno a Grand Central Terminal, la stazione ferroviaria più grande del mondo con 44 banchine e 67 binari.
Una curiosità: sotto il Terminal si trova una grossa stanza, chiamata M42, che contiene il raddrizzatore utilizzato per trasformare l’elettricità da corrente alternata a quella continua che alimenta il Terminal. La posizione esatta di M42 rimane un segreto gelosamente custodito e non può essere trovata su mappe.
Grand Central si trova nel cuore di Manhattan. Da lì è possibile raggiungere il Chrysler Building, a mio parere il grattacielo più bello di New York che però non è possibile visitare. Come dice la parola stessa, venne costruito per ospitare la sede della casa automobilistica Chrysler.
A pochi isolati di distanza dal Chrysler si staglia l’Empire State Building, il grattacielo simbolo della Grande Mela e fino al 1967 quello più alto del mondo.
Fu superato dalle Torri Gemelle che però furono distrutte dall’attentato terroristico del 2001.
Oggi il primato di grattacielo più alto di New York spetta alla Freedom Tower, che ha un’altezza di 1776 piedi, pari a 541 metri e 32 centimetri al pennone, mentre l’altezza fino al tetto è di 417 metri. Il numero 1776 non è casuale: è stato scelto poiché rappresenta l’anno della dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti.
Il museo delle Torri Gemelle
Accanto alla Torre della Libertà sorge il National September 11 Memorial & Museum. Percorrendo le aree e le stanze del Museo è impossibile non tornare a quei giorni che cambiarono per sempre la storia del mondo occidentale contemporaneo così come è impossibile non commuoversi di fronte ai resti di camionette dei Vigili del Fuoco, a pezzi di lamiera o alla “scala dei superstiti”, ovvero la scala utilizzata per mettersi in salvo da migliaia di persone che alle 8.45 (ora del primo schianto dell’aereo) si trovano all’interno dell’edificio.
Ad accogliere i visitatori una frase del poeta Virgilio: “Nessun giorno potrà mai cancellarti dalla Memoria del Tempo” e la sensazione è proprio quella che nessun americano, nessun newyorkese, potrà mai dimenticare quel 11 settembre 2001, una data che ha cambiato indelebilmente la storia del paese ma che ha reso quello a stelle e strisce un popolo ancora più forte e più unito.
Nel piazzale antistante le vasche che ricordano le 2.983 vittime; i nomi sono iscritti su 76 placche di bronzo attaccati che formano i bordi delle piscine del Memorial.
Ci include i nomi delle 2.977 vittime che sono stati uccisi negli attacchi dell’11 settembre a New York, Arlington (Virginia) e Shanksville (Pennsylvania), così come i nomi delle sei vittime che sono state uccise nell’attentato del 1993 al World Trade Center. I nomi sono stati disposti secondo un processo e un algoritmo che è stato usato per creare una relazione proprio tra essi.
Ad esempio i nomi delle vittime che si trovavano nella Torre Nord (WTC 1), dei passeggeri e dell’equipaggio del volo American Airlines 11 (che ha colpito la Torre Nord) si trovano attorno al perimetro della North Pool. I nomi delle vittime che si trovavano nella Torre Sud (WTC 2), dei passeggeri e dell’equipaggio del volo United Airlines 175 (che ha colpito la Torre Sud) si trovano attorno al perimetro della South Pool.
Qui si trovano anche i nomi delle vittime che si trovavano nelle immediate vicinanze delle Torri Gemelle, dei primi soccorritori che morirono durante le operazioni di salvataggio, dei passeggeri e dell’equipaggio del volo United Airlines 93 (che si schiantò vicino a Shanksville, Pennsylvania), del volo American Airlines 77 (che ha colpito il Pentagono), delle vittime che erano al Pentagono, e delle vittime dell’attentato dinamitardo del 1993 al World Trade Center.
Una particolarità riguarda la così detta “Scala dei Sopravvissuti”, composta dalla struttura originaria che permise a molti di salvarsi dalle conseguenze dell’attentato.
Fu il primo manufatto a essere spostato nel museo ed alla fine dell’agosto seguente la costruzione delle fondamenta era terminata. Il 2 settembre gli operai innalzarono la prima colonna del memoriale, pesante 7700 chili, presso l’angolo destro dell’impronta della Torre Nord.
In tutto, 9.100 tonnellate di acciaio saranno installate presso il sito del monumento. Nell’aprile 2010, le piscine erano quasi completate e l’85% del cemento era stato versato; il 22 aprile, i lavoratori iniziarono l’installazione del rivestimento in granito per le piscine.
Le tappe obbligate
Quando si va a New York per la prima volta ci sono delle tappe obbligate che bisogna percorrere. Non si può non passare davanti al Flatiron Building, il ferro da stiro progettato da Daniel Burnham in stile Beaux-Arts.
Un salto a Time Square è d’obbligo, la piazza più famosa al mondo dove si festeggia il Capodanno facendo scendere una sfera dal grattacielo One Times Square, in memoria della sfera di cristallo che per la prima volta venne fatta cadere in questa piazza nel 1904 per festeggiare l’arrivo del nuovo anno.
È qui che venne scattata la famosa foto del marinaio che bacia la fidanzata alla fine della Seconda Guerra Mondiale, fatta dal fotografo americano Alfred Eisenstaedt.
Ed è qui che forse si respira l’anima commerciale di New York. Acquistare uno spazio pubblicitario sul palazzo di Time Square costa la bellezza di 24,1 milioni di dollari l’anno. Non è un caso che il One Times Square sia l’unico grattacielo al mondo a far più guadagni tenendo il suo interno vuoto anziché affittato.
A pochi passi dalle luci di Time Square e dai teatri di Broadway, c’è un angolo incantevole di New York che merita di essere visitato. Si tratta della New York Public Library, la terza più grande libreria dell’America del Nord. L’aria che si respira al suo interno è suggestiva. Un silenzio assordante che sa di cultura e di sapere, avvolto da splendide lampade tutte rigorosamente accese che illuminano le sale immense di lettura.
Ad accogliermi all’ingresso della Libreria, due Leoni noti come Patience e Fortitude (Pazienza e Forza). Una curiosità: la Libreria è uno dei luoghi in cui è stato girato il film “The day after Tomorrow”.
Proseguendo il viaggio si arriva a Central Park – il polmone verde di Manatthan. Si tratta del parco più amato dagli atleti e dagli sportivi. Il Park Drive, di 9,7 km di perimetro, è un paradiso per corridori, anche a livello amatoriale, ciclisti e pattinatori.
Quasi tutti i weekend nel parco si tiene una gara, molte di queste competizioni sono organizzate dal New York Road Runners e non è un caso che la famosa maratona di New York finisca proprio davanti al Tavern on the Green. Ma tranquilli, c’è spazio anche per i pigroni: un buon libro, un classico caffè da sorseggiare ai tavolini di qualche bar e gli scoiattoli che saltano da un albero all’altro e il gioco è fatto.
Altra meta obbligata è la Statua della Libertà. Per quante volte tu l’abbia potuta vedere in televisione o in fotografia, dal vivo è un’emozione fortissima.
Nei suoi particolari c’è tutta la storia di New York: una donna che indossa una lunga toga e sorregge fieramente nella mano destra una fiaccola (simbolo del fuoco eterno della libertà), mentre nell’altra tiene una tavola recante la data del giorno dell’Indipendenza americana (4 luglio 1776); ai piedi vi sono delle catene spezzate (simbolo della liberazione dal potere del sovrano dispotico) e in testa ha una corona, le cui sette punte rappresentano i sette mari e i sette continenti. La statua rappresenta la dea Ragione, la cui torcia simboleggia il sapere della ragione.
Realizzata in bronzo, il colore verde che oggi vediamo è frutto dell’ossidazione che il metallo ha subito nel corso degli anni. In apparenza può sembrare un’opera molto pesante ma in realtà le lastre di bronzo con cui è realizzata sono sottilissime: due monete da un cent di spessore ciascuna.
Ma è solo andando a Ellis Island che si comprende come l’America sia stata – e in parte lo è tutt’ora – la terra delle opportunità. È su questo isolotto che sono stati accolti più di 12 milioni di aspiranti cittadini statunitensi che all’arrivo dovevano esibire i documenti di viaggio con le informazioni della nave che li aveva portati nella Grande Mela.
I Medici del Servizio Immigrazione controllavano rapidamente ciascun immigrante, contrassegnando sulla schiena con un gesso, quelli che dovevano essere sottoposti ad un ulteriore esame per accertarne le condizioni di salute (ad esempio: PG per donna incinta, K per ernia e X per problemi mentali).
Chi superava questo primo esame, veniva poi accompagnato nella Sala dei Registri, dove erano attesi da ispettori che registravano nome, luogo di nascita, stato civile, luogo di destinazione, disponibilità di denaro, riferimenti a conoscenti già presenti nel paese, professione e precedenti penali. Ricevevano alla fine il permesso di sbarcare e venivano accompagnati al molo del traghetto per Manhattan.
I “marchiati” venivano inviati in un’altra stanza per controlli più approfonditi. Secondo il vademecum destinato ai nuovi venuti, “i vecchi, i deformi, i ciechi, i sordi e tutti coloro che soffrono di malattie contagiose, aberrazioni mentali e qualsiasi altra infermità sono inesorabilmente esclusi dal suolo americano”.
Tuttavia risulta che solo il due percento degli immigranti siano stati respinti. Per i ritenuti non idonei c’era l’immediato reimbarco sulla stessa nave che li aveva portati negli Stati Uniti, la quale, in base alla legislazione americana, aveva l’obbligo di riportarli al porto di provenienza. Il picco più alto si ebbe nel 1907 con 1.004.756 persone approdate.
New York è una città sorprendente; tutto è tremendamente grande, immenso. È il posto in cui ti senti sovrastata dai grattacieli, dove non puoi stabilire un itinerario certo perché appena giri la testa trovi qualche piacevole fuori programma.
New York è quel luogo in cui vorresti sempre perderti per poi ritrovarti, magari tra i fumi che escono dai tombini (accade davvero, non è una trovata cinematografica).
New York è una di quelle città che va vissuta sulla strada, macinando chilometri su chilometri (ne ho fatti 144 in 8 giorni) quasi sempre percorsi con il naso all’insù.
La cosa certa è che una volta visitata, i telefilm in tv non saranno più visti con gli stessi occhi di prima!
Testo e foto di Arianna Carati