Carla, una capra e la violenza di genere

Come potrebbe andarsene, abbandonarlo così? Lui che, alla fine, quando smette di essere arrabbiato è così buono. Lui che le ha dato un senso.

Carla vive in una casa mobile. Clark le ha detto che sarebbe stata una buona idea. Lei a diciotto anni non si sarebbe immaginata, da adulta, a vivere in una casa mobile. I suoi genitori la volevano all’università. Ma lei si è innamorata di Clark, un istruttore di equitazione dalle grandi promesse. Sono anni ormai che stanno insieme.

Carla ha rinunciato a tutto. Clark le dice che senza di lui, lei, non sarebbe niente e lei lo sa, ma certo, che lui alla fine ha ragione, è così. Lui a volte è violento, con le parole, con i gesti, ma Carla si spiega che in realtà non è cattivo, è solo fatto così. Poi migliora, le regala dei fiori, magari, e tutto si risolve. Il sogno di Clark lo hanno realizzato, hanno messo su un maneggio in campagna, lontano da tutti, da tutto, dalla famiglia e dagli affetti di Carla.

C’è solo una vicina, Sylvia, la moglie di un poeta morto da poco. Carla fa le pulizie a casa sua, ogni tanto l’aiuta in casa, il maneggio non va molto bene, le piogge sono frequenti quest’anno e gli allievi disdicono spesso le lezioni. Clark sta sempre davanti al computer e borbotta. Qualcuno deve fare qualcosa per portare il pane a casa. Così Carla va a casa di Mrs. Jamieson e l’aiuta in cambio di qualcosa. In verità Carla ha un’altra amica, Flora, una capretta che hanno preso per fare compagnia ai cavalli più anziani.

All’inizio l’animaletto amava più Clark che lei, ma poi lui si è comportato da Clark e così Flora ha iniziato a preferire la compagnia di Carla, una madre mancata, silenziosa, piena di attenzioni distratte. Un giorno Flora sparisce. Anche Carla tenta di fuggire ma, arrivata a metà del viaggio si pente, scende dall’autobus e capisce che no, lei non è niente senza Clark.

Come potrebbe andarsene, abbandonarlo così? Lui che, alla fine, quando smette di essere arrabbiato è così buono. Lui che le ha dato un senso. Clark torna a prenderla. Come ha potuto abbandonarlo? Non ce l’avrebbe mai fatta da sola. Clark, dopo aver recuperato Carla alla fermate di un autobus che la stava portando via da lui, si reca a casa di Sylvia, complice di Carla, e le restituisce i vestiti che la donna le ha dato per scappare. Quella notte, mentre Sylvia e Clark sono davanti all’uscio, ricompare Flora. Carla non la vedrà più, Carla va punita per quello che ha fatto. Toglierle Flora è il minimo. Carla sa che Clark ha fatto sparire Flora, le prove sono evidenti e inconfutabili, l’amica le ha scritto una lettera in cui le racconta di aver visto l’animaletto ma Clark non ne ha fatto parola. Alla fine, Carla si dice, non può averne proprio la sicurezza, forse il teschio di capra mangiato dagli avvoltoi non è quello di Flora, forse Sylvia si è confusa, quando le ha scritto. Nel dubbio è meglio non pensarci e continuare con la vita di sempre.

Peter Englund ha detto che leggere i racconti di Alice Munro è come vedere un gatto che attraversa una tavola apparecchiata. La scrittrice canadese entra nelle crepe dei rapporti umani, li disegna senza analizzarli esplicitamente, abbozza il racconto di una vita e poi ci abbandona a noi stessi nella brevità di un racconto. Munro sparisce dietro alle parole dei personaggi che si descrivono da soli con il tono che usano. La reverenza di Carla, le imprecazioni di Clark.

I personaggi sono descritti tramite le loro azioni. Carla “si cacciava in testa un vecchio cappello di feltro australiano a tesa larga ogni volta che usciva e infilava la camicia nella trecciona lunga”. Clark a volte impreca davanti al computer e “certe volte invece ci parlava. Stronzate, diceva magari, rispondendo a qualche richiesta. Oppure scoppiava a ridere, ma non ricordava mai la battuta, quando lei gli chiedeva di ripetergliela”. I rapporti tra i personaggi e la violenza si delineano tramite frasi appena accennate come quella di lui verso la compagna: “Non dirmi come sono. Mi soffochi. Metti su la cena”.

La dipendenza affettiva di Carla è dipinta con rapide pennellate attraverso i suoi pensieri. “Carla vedeva in lui l’architetto della loro esistenza futura, e in sè stessa una prigioniera la cui sottomissione era giustificata e sublime”. Il declino di un rapporto che era parso assoluto, fatto d’amore incondizionato, fatto di attenzioni, risolutivo viene descritto da Munro con la semplicità con cui solo certi autori sanno descrivere le cose complesse. “Dopo un certo periodo tuttavia ogni uscita venne considerata una perdita di tempo e denaro. Usciva la sera soltanto chi non aveva ancora capito come funzionava davvero la vita”.

La condizione di assoggettamento imposta dal maltrattante alla donna maltrattata è espressa in tutta la sua brutalità e concretezza in un passo che si spinge al limite della semplicità. “Non riusciva a immaginarselo. A vedere sé stessa in metropolitana o su un tram, o che badava a dei nuovi cavalli, o parlava con gente nuova, che viveva ogni giorno tra schiere di persone nessuna delle quali era Clark. Una vita e un posto scelti per quella precisa ragione, cioè non contemplavano Clark. (…) Adesso, mentre fuggiva da lui, Clark conservava un posto nella sua vita. Ma a fuga compiuta, quando avesse semplicemente ripreso ad andare avanti, che cosa avrebbe messo al suo posto?”.

E così la reazione di lui, in un dialogo brevissimo, quando lei cede e torna.

“Se provi un’altra volta a scapparmi ti concio per le feste,- le disse Clark- e lei- Lo faresti davvero?

-Cosa?

-Conciarmi per le feste.

-Eccome.

Era di ottimo umore adesso, irresistibile come quando lo aveva conosciuto”.

Insomma il racconto, che apre la raccolta il cui titolo originale è Runaway e che le dà il titolo (nella versione italiana In Fuga), rivela uno spaccato di quella che, nella vita di una donna maltrattata, diventa una ordinaria, tremenda normalità.

L’esistenza di una donna succube di un uomo, che l’ha convinta, nel corso del tempo, di non valere nulla senza di lui. Carla finisce per essere la rovina di sé stessa, spegne tutte le luci che le vengono offerte, entra in un turbinio di auto sabotaggio e depressione che la portano ad annullarsi. Munro offre, senza mai spiegare né dare indicazioni ma solo raccontando il breve periodo dell’esistenza di un personaggio, una finestra sulla violenza di genere e sull’annullamento del femminile forse più chiara e utile di molte spiegazioni teoriche. L’autrice descrive il sentimento di sottomissione dolorosa, cieca e muta, con parole semplici, immagini elementari, perfette.

“Era come se (Carla) avesse un ago mortale ficcato nei polmoni, ma respirando con attenzione, potesse evitare di sentirlo. Ogni tanto però doveva respirare a fondo, e l’ago era ancora lì”.