Più in alto delle nuvole: la storia di George Chávez Dartnell

Una storia quasi dimenticata, quella del giovane pilota franco peruviano che per primo attraversò in volo le Alpi e si schiantò a Domodossola. Esploratore appassionato ed eroe sfortunato, amava le sfide ma non cercava nuove terre da scoprire. Voleva solo scalare il cielo. Più in alto, sempre più in alto.

Venerdì 23 settembre 1910. Sono passati tredici minuti dalle 14 e quasi 45 dalla partenza dal campo volo di Briga. Dopo aver attraversato i monti, le valli e i venti del passo Sempione, superando i due mila metri di altezza, l’aereo ha iniziato la discesa e ora è a soli venti metri dal suolo. Venti metri dalla gloria.

Quando Geo vede avvicinarsi la grande croce bianca disegnata dai teli distesi sull’erba della piana Siberia, nei sobborghi di Domodossola, si prepara a planare. Sorride e saluta con la mano la folla che da ore aspettava ai bordi del campo per applaudire l’arrivo del primo trasvolatore delle Alpi.

La storia del volo

All’improvviso un forte colpo di vento e il muso del Blériot si inclina. Geo sente un forte scricchiolio ma non ha il tempo per capire che le ali si sono ripiegate all’indietro, quasi accartocciate. Il monoplano si schianta sul terreno.

Prima le urla di chi era venuto per assistere all’impresa, poi un silenzio irreale e l’aria afosa del caldo pomeriggio si riempie dell’aspro odore dell’erba bruciata. I soccorritori lo tirano fuori dai rottami.

Ha il volto insanguinato, una gamba rotta, le vesti stracciate, ma è ancora vivo. Viene portato all’ospedale San Biagio di Domodossola. Le condizioni sono preoccupanti ma non sembrano gravi o disperate. Non vengono trovate fratture interne, ma per le ferite riportate George Chávez Dartnell (per tutti semplicemente Geo, il pilota ingegnere franco peruviano) morirà quattro giorni dopo. Aveva solo 23 anni.

Oggi diremmo “in modo inspiegabile” ma allora, per la medicina come per l’aviazione, l’evoluzione tecnologica era solo ai primi passi.

L’aereo usato da Geo

Gli aerei dell’epoca erano più simili a insetti volanti che ai moderni mezzi di volo intercontinentale. Trabiccoli che per alzarsi in volo facevano salti da pulce, con ali di tela che assomigliavano a quelle delle libellule e alettoni che nelle virate venivano inclinati con sforzi incredibili da tiranti impugnati dal pilota. Venivano definiti macchine che pesano più dell’aria, per distinguerli dagli aerostati e dalle mongolfiere.

Il Blériot XI di Geo Chavez era lungo otto metri, con un’apertura alare di sette metri e venti. Aveva un telaio in legno (lo stesso materiale utilizzato per l’elica e il sedile di guida), un motore Gnome da 50 cv alimentato da benzina con olio di ricino, che riusciva a raggiungere la velocità di 85 km all’ora, due ruote da bicicletta come carrello, corde di pianoforte come tiranti, un tachimetro e una bussola (gli altri strumenti disponibili erano un barografo che il pilota appendeva al collo e qualche carta geografica da tenere nelle tasche del giubbotto di fustagno).

In pratica quanto offrisse di meglio, allora, la conoscenza scientifica. A questo Geo aggiungeva la passione, un po’ di incoscienza e la voglia di viaggiare, non tanto per scoprire nuove terre ma per vedere dall’alto quelle conosciute.

L’aereo era per lui “un ascensore verso il cielo”, un mezzo per esplorarlo, superare le nuvole e raggiungere le stelle. “Arriba, siempre arriba” (più in alto, sempre più in alto) era il suo motto e le ultime parole che riuscì a sussurrare prima di morire.

Quando il progresso prese le ali

Geo Chavez nasce a Parigi il 13 giugno 1887, in una facoltosa famiglia di emigrati peruviani, padre esportatore di rame e banchiere, madre (Dartell) di nobili origini.

È il quarto figlio (ne seguiranno altri due) e viene iscritto al consolato del Perù come Jorge Antonio Chavez Dartell, peruviano nato all’estero. Al battesimo, il nome spagnolo viene francesizzato in George, da cui deriva il diminutivo Geo.

Passa un’infanzia agiata e felice. Studia con ottimi profitti ed eccelle nelle attività sportive, in particolare nell’atletica, partecipando e vincendo varie competizioni di mezzofondo.

Quando a 16 anni perde la madre frequenta l’Ecole Violet di Parigi, il liceo di Elettricità e Meccanica industriale, dove cinque anni dopo si diplomerà ingegnere. Nel 1909 Geo perde anche il padre e conosce Luis Paulhan, un costruttore di dirigibili e collaudatore di nuovi mezzi a motore che riuscivano ad alzarsi in volo.

Lavora nel suo hangar e si iscrive alla scuola di volo aperta dai fratelli Farman, che per primi in Europa con il loro biplano avevano percorso alcuni chilometri in volo e avevano l’audacia (anche da parte di chi ci saliva) di trasportare passeggeri, come avevano già fatto pochi anni prima i fratelli Wright negli Stati Uniti.

Il clima festoso della bell’époque parigina, a cui il ricco e spensierato Geo partecipa con euforia, alimenta anche la sua frenesia per le novità e l’entusiasmo per un progresso che sembrava avesse preso le ali (metaforicamente e letteralmente).

Il 15 febbraio 1910 Chavez ottiene il Brevetto Internazionale di Pilota e inizia a partecipare a varie competizioni, preferendo le gare d’altezza a quelle di velocità o di distanza.

Dal 28 febbraio al 2 marzo riesce a volare per quasi due ore nel circuito di Mourmelon (nel Nord della Francia) raggiungendo, nella sua prima partecipazione ad una gara, i 510 metri d’altezza.

Da aprile a giugno si susseguono le manifestazioni che lo vedono protagonista: al concorso di Biarritz, a Nizza, a Tours, a Lyon, a Verona, a Rouen e a Budapest in Ungheria.

Per partecipare alla gara della Gran Settimana di Champagne, dal 3 al 10 luglio, Chavez decide di cambiare il suo aereo Farman e acquista uno dei monoplani di Louis Bleriot (un modello simile a quello con cui il costruttore l’anno prima aveva sorvolato in 32 minuti la Manica, mantenendo una quota di cento metri sopra il mare da Calais a Dover).

E con il Bleriot Geo vince la sua prima gara in altezza raggiungendo i 1.150 metri. Record personale che supererà un mese dopo a Blackpool in Inghilterra, dove trionferà volando a 1.647 metri. A fine agosto è a Lanark in Scozia per partecipare a una competizione che lo vedrà arrivare al secondo posto.

Quasi un allenamento in vista della manifestazione che si terrà l’8 settembre a Issy lex Moulineaux, nei dintorni di Parigi, sua città natale. Quel giorno Chavez ottiene il record mondiale salendo fino a 2.680 metri. Il traguardo raggiunto lo rende famoso e, nonostante sia il più giovane tra i nuovi pionieri dell’aviazione, viene invitato alla manifestazione più importante e ambiziosa per quell’anno: il Circuito aereo internazionale di Milano, che comprendeva la prima traversata delle Alpi.

Organizzato dal presidente del Touring Club Italiano, Arturo Mercanti, l’evento programmato tra il 18 e il 24 settembre prevedeva il sorvolo del passo del Sempione, con partenza da Briga, tappa intermedia a Domodossola e arrivo a Milano, nel nuovo campo di volo, appena inaugurato, di Taliedo (l’area dove nel 1937 nascerà l’aeroporto di Linate). Una sfida a cui Geo non poteva mancare.

La preparazione della gara è attenta e puntigliosa. Chavez soggiorna a Briga, Domodossola e a Milano, dove firmerà l’adesione alla manifestazione. Perlustra in auto, su strade di montagna ancora sterrate, tutto il percorso.

Studia nel dettaglio le valli, i monti e le gole che dovrà attraversare in volo, le possibili condizioni atmosferiche e tutti i venti che dovrà affrontare. Alla gara si iscrivono cinque concorrenti, ma per diversi problemi tecnici, uno alla volta si ritirirano dalla competizione.

Rimane solo Geo e la mattina del 23 settembre il suo è l’unico aereo ad uscire dagli hangar allestiti nel campo di “slancio” di Briga (erano il ricovero e l’officina degli aerei che venivano spediti in pezzi e montati sul luogo delle gare).

Alle 13.29 l’aereo si stacca dal suolo. Per la prima volta un uomo attraverserà le Alpi volando. Ci impiegherà 44 minuti e 56 secondi, venti minuti in meno del tempo che impiegava un treno da Briga a Domodossola, passando per il tunnel del Sempione aperto solo quattro anni prima. Un successo che lo schianto all’arrivo trasformerà in tragedia e che passerà alla storia come un atto di eroismo.

Gli eroi son tutti giovani e belli

L’eco dell’impresa e della sua tragica fine ebbe vasta risonanza nel mondo. La notizia prese le prime pagine di tutti i giornali. La cronaca di quei giorni è stata raccontata con accurata precisione e partecipato affetto da Luigi Barzini, che scrisse sul tema decine di articoli per il Corriere della sera e fu l’ultimo a intervistare Chavez nei quattro giorni di agonia all’ospedale di Domodossola.

Il primo a dedicare versi alla sfortunata avventura di Geo fu Giovanni Pascoli. Scritta nel novembre del 1910, a poche settimane dal tragico evento, la poesia “Chavez” venne pubblicata sul XX Secolo (un mensile di attualità stampato fino al 1933) e poi fu inserita nella raccolta Odi e inni.

L’opera ha una sintassi elaborata ed è carica di retorica e simbolismi, “che in cielo, un dì, mirabilmente muto / passar fu visto, come Dio, seduto / un uomo, l’uomo alato!” e così si chiude:Cade, con la sua grande anima sola / sempre salendo. Ed ora sì, che vola”. Nel 2015 Fredo Valla, il regista cuneense autore del film “Il vento fa il suo giro”, ha dedicato a Geo Chavez un documentario che attraverso filmati d’epoca e animazioni, racconta il mito romantico del giovane pioniere del volo. La colonna sonora e la voce narrante sono di Giorgio Conte (fratello del più noto Paolo). 

Alla memoria di Geo Chavez sono stati dedicati monumenti a Briga, Domodossola e a Lima. L’aeroporto della capitale peruviana porta il suo nome e ci sono strade a lui intitolate anche a Milano  e a Parigi.

Quando morì furono celebrati funerali a Domodossola e nella capitale francese, dove fu sepolto al cimitero di Père-Lachaise. Nel 1957 la salma venne trasferita a Lima, nel mausoleo di Las Palmas, principale base della Fuerza Aérea del Perú.

Domodossola e il ricordo di Geo Chavez

Dom, come la chiamano in dialetto i locali, è una città piemontese di 18mila abitanti adagiata al centro della Valle d’Ossola attraversata dal fiume Toce.

Resa famosa soprattutto per la sua lettera iniziale, quella D a cui viene spesso associata quando vogliamo compitare (cioè fare lo spelling) una parola riferendoci a nomi di città, Domodossola è una tranquilla località circondata dal verde delle montagne, a poca distanza dal confine svizzero, dal Lago Maggiore e dal Monte Rosa.

Il centro storico si racchiude attorno alla pittoresca Piazza del mercato, un ampio spazio a forma di trapezio, con portici, loggiati e tetti sporgenti.

Dalla piazza si irradiano stretti vicoli che portano a eleganti palazzi dell’Ottocento. Ai tempi dell’impero romano la città era un punto di passaggio obbligato sulla direttrice dalla pianura padana verso la Gallia transalpina.

Da qui passarono anche gli Ostrogoti e i Longobardi, che la distrussero. Poi arrivarono le dominazioni di Carlo Magno, dei Visconti di Milano, degli spagnoli, degli austriaci e dal 1743 dei Savoia. Nel 1895 iniziarono i lavori per il traforo ferroviario del Sempione (19.823 metri, per 76 anni resterà la galleria ferroviaria più lunga al mondo).

Il 19 maggio 1906 l’opera sarà inaugurata da Re Vittorio Emanuele III e con l’apertura della nuova linea la stazione di Domodossola diverrà una delle principali stazioni italiane di frontiera. Quattro anni dopo sarà un’altra data a segnare la storia della città e a farla tornare alla ribalta internazionale, quella della tragica fine di Geo Chavez.

Per ricordare il personaggio e la sua eroica impresa sono state prese negli anni numerose iniziative. Sul luogo dove avvenne lo schianto, un’area agricola tre chilometri a Sud della città, chiamata oggi Regione Siberia, venne collocata una colonna in granito. A Chavez è stata inoltre dedicata una piazza (a circa trecento metri dalla stazione ferroviaria) con un giardino centrale dove nel 1925 è stata posizionata una statua in bronzo, opera del milanese Luigi Secchi, che rappresenta una giovane donna con le braccia alzate.

Il Museo sempionano (in via Canuto, a pochi passi da piazza Mercato), che racconta attraverso reperti e documenti la storia della costruzione del traforo, ha dedicato uno spazio alla memoria dello sfortunato aviatore. Nel piccolo museo, attualmente chiuso per lavori, sono raccolti vari cimeli come un’ala del Bleriot di Chavez e il suo giubbotto.

Nel settembre del 2014 è stato inaugurato un percorso d’arte con tredici installazioni dedicate al primo trasvolatore delle Alpi. Le opere sono di artisti di fama internazionale e sono collocate a fianco della strada del Sempione (quella voluta da Napoleone per collegare Milano a Parigi).

In pratica un museo a cielo aperto lungo i 50 chilometri che separano Domodossola da Briga, quasi a voler seguire da terra la scia del volo di Chavez.