Orizzonti argentini: dall’Amazzonia alla Patagonia

Dal clima tropicale della regione amazzonica ai ghiacciai della Patagonia…

Avevo deciso di tornare. Due anni prima ero arrivata a Buenos Aires con un gruppo di amici argentini. Mi avevano convinta che almeno una volta nella vita bisognasse vedere la grande Plaza de Mayo, impregnata ancora del dolore gridato strenuamente delle madri dei tanti desaparecidos argentini deportati dal regime militare e che un giro a la Recoleta per portare un doveroso omaggio a Donna Evita Peron si sarebbe trasformato nel tempo in un ricordo di quelli preziosi, indelebili.

E quelli furono i principali momenti del mio primo viaggio in Argentina. Ma questa volta volevo allargare gli orizzonti.

Dall’Amazzonia alla Patagonia

L’Argentina è un territorio immenso, dai paesaggi estremi e sempre diversi: si estende dai confini della Foresta Amazzonica fino alla Terra del Fuoco, passando così elegantemente losca tra miriadi di scenari forti e diversi.

Le cascate

Ora, dunque, sono nuovamente in questa terra ed inizio o meglio, riinizio il mio viaggio.

Comincio dalla regione Amazzonica, all’estremo Nord e ci arrivo in aereo da Buenos Aires. Sarebbe stata troppo lunga da fare in corriera e così, in poco e niente, mi trovo catapultata nel clima tropicale di questa regione remota, al confine con il Brasile e l’UruguayGli alberi sono enormi, i fiori anche, tutto grande ed estremo per una che arriva da una città moderna e caotica.

Occorre andare a vedere le cascate, assolutamente. Per arrivarci parte del percorso è sul Rio de Iguacu, che è navigabile con grandi canoe in alcuni tratti, in altri su ponticelli di legno poco stabili.

Quando arrivo alle cascate mi si mostrano davanti agli occhi i 275 salti che le compongono; questo spettacolo mi presenta, per la prima volta, un pathos che caratterizzerà la gran parte del mio percorso argentino.

La Garganta del Diablo è il salto più alto, spettacolare. L’acqua arriva per poi buttarsi nel rio Paranà, facendo alzare spruzzi di acqua e vapori in cui si riflettono infiniti arcobaleni. Vedere le cascate dal lato Argentino è indubbiamente molto più spettacolare che vederle dal lato Brasiliano. Da qui ce le hai di fronte.

L’inizio della Patagonia

Lasciata Iguacu si vola sulla costa del Pacifico fino a Trelew per proseguire verso Puerto Madryn. Da qui sono vicinissima alla Penisola di Valdes, altra riserva naturale dove, nella stagione degli amori, le balene franche vanno a riprodursi.

Purtroppo, pur essendo la stagione giusta, dalla barca che mi sta portando non ne vedo nessuna. Siamo nella zona geografica dove inizia l’immensa Patagonia con il suo vento che non ti abbandona mai e soffia forte tra cespugli spinosi, erbe secche ed un paesaggio da film western. La cosa più strana però sono gli ex coloni gallesi, le loro casette e le loro cup of tea.

In effetti questi territori remoti e lontani da tutto e tutti si prestavano alla radicalizzazione di colonie di europei. Ma anche di colonie di pinguini. Infatti scoprirò che qui vicino, a Punta Tombo, si trova una delle più grandi colonie di pinguini al mondo.

I pinguini

Camminano a due a due, prima di arrivare alla “pinguinera”. I pinguini sono animali che vivono in coppie stabili, senza lasciarsi mai. Sono carini, mentre li guardo entrare ed uscire con grazia estrema dalle onde.

In acqua si muovono come schegge, per mangiare ed evitare di essere mangiati dalle orche. Queste saltano altissime dalla superficie del mare, per afferrare qualunque cosa di commestibile gli passi davanti, dal leone marino, al pinguino, agli albatros.

Il centro della Patagonia

La tappa successiva è a Rio Gallegos, nel centro della Patagonia; da qui si parte in fuoristrada per Calafate. Attraversiamo un territorio che, pur composto da 300 chilometri estesi praticamente nel nulla, ha la straordinaria capacità di non risultare mai monotono.

Il nulla di cui parlo, infatti, ha una sua forma particolare. Sarà l’effetto del cielo che, per una questione di latitudine o per via della smisurata distanza dell’orizzonte, risulta estremamente azzurro e basso, su un territorio brullo e ventoso più che mai.

Ad un tratto, a distanza, inizi a vedere un colore che ti salta agli occhi, un azzurro ceruleo che stacca totalmente nel rosso della terra e che si allarga man mano che ci si avvicina al Lago Argentino, una distesa di acqua dolce che arriva dai ghiacciai andini.

L’acqua è azzurra, densa e resa opaca dal pulviscolo di ghiaccio, il cosiddetto latte dei ghiacciai. Da El Calafate si può arrivare facilmente al parco dei ghiacciai, sono 47, tantissimi. Salgo sull’imbarcazione che da Puerto Banderas, navigando lungo i canali di Upsala e Spegazzini ed i loro ghiacciai omonimi, arriva quasi sotto i pinnacoli che compongono il fronte dell’enorme ghiacciaio.

Le barche devono restare a debita distanza di sicurezza, perché di tanto in tanto, con un rumore assordante, pezzi di giaccio enormi si staccano e precipitano nel lago, alzando onde altissime. I blocchi di ghiaccio iniziano a navigare sulle acque del lago, sciogliendosi e prendendo forme incredibili, paiono enormi statue galleggianti, levigate dal Canova, adornate da effetti di luce, con colori dal bianco al turchese che passano per ogni singolo tono del blu.

Questo spettacolo indimenticabile, oltre a togliere il fiato, mi porta a sperare che l’uomo possa riuscire a preservare questa meraviglia fragile, bellissima e soggetta a scomparire per l’innalzamento della temperatura. Sogno che i miei nipoti e pronipoti possano un giorno godere di questo spettacolo che merita, da solo, lo sforzo del viaggio.

Ma è tempo di andare. Di continuare.

Finis Terrae

E via da qui, si prosegue per la Terra del Fuoco. Per arrivarci si vola sopra lo stretto di Magellano e sopra la parte più a Sud della Cordigliera delle Ande. Poco più ad occidente ci sono i fiordi Cileni. Sotto la carlinga dell’aereo, montagne punteggiate da laghetti andini. Altro grande spettacolo della natura.

L’atterraggio ad Ushuaia è quasi al tramonto, con l’aereo che sembra stia per planare sul mare. Strizzo gli occhi per cercare di individuare la banchisa Antartica che è lì vicina, ma c’è foschia. Fa freddissimo, anche se siamo solo in autunno, che corrisponderebbe alla primavera da noi.

In effetti questo è ben comprensibile: siamo a Finis Terrae. Questo è il nome dato alla terra dalla costa frastagliata, dove Magellano aveva individuato il varco tra Atlantico e Pacifico, evitando così il periglioso passaggio che obbligava a circumnavigare Capo Horn.

Questa era la terra degli indios Yamana, che a quei tempi accendevano fuochi nelle loro canoe, per evitare di morire assiderati durante le notti di battuta di pesca in questa ultima propaggine di terra, prima del mondo di ghiaccio. Ed è questo il motivo per cui, noi scaltri europei, l’abbiamo chiamata Terra del Fuoco.

Ushuaia

Ushuaia è carina, le case sono colorate e si affacciano sul mare grigio scuro. Ospita grandi colonie di leoni marini, che vedo sdraiati sui tanti minuscoli isolotti che punteggiano la baia. Prima di ripartire vado nell’ufficio postale di Ushuaia e mi faccio timbrare il passaporto nella città più australe ed a Sud del nostro mondo. Così, per ricordarmi sempre questo momento.

Bene. Infreddolita, stordita da tanti paesaggi e tanta bellezza, me ne torno a casa con la certezza di tornare ancora.

Già, perché a Calafate ho mangiato la bacca del cespuglio che dà il nome alla cittadina.

Quindi, come leggenda narra, tocca tornare ancora.

Testo e foto: Emma Matilda Ingrosso