Napoli è…

Camminata tra i colori e gli odori di una città ricca di bellezza e contrasti.

Copertina articolo su Napoli

Parti. Dai parti che tanto per arrivare arrivi. Varcala la soglia. La vedi? E’ proprio lì: tra gli infissi, tra le giacche appese, nella polvere sui quadri.

Chiamiamola anche frontiera, che forse è meglio. Se non ti muovi ti si lega ai piedi, ti si attacca addosso. Quindi scappa dai, che tanto per tornare torni, se non altro non uguale a prima.

E allora: “M. mi ospiti a Napoli? Un paio di giorni, il tempo di cambiare aria.”

“Si io lavoro, ma so che ti sai arrangiare.”

“Tranquillo è perfetto. Grazie.”

“Brava. Lasciala quella nebbia, che tanto l’aria s’adda cagna’ no?”

Ed è Pino Daniele a chiudere il discorso e non posso che dargli ragione. L’aria s’adda cagnà e s’adda cagnà più spesso di quanto io stia facendo ultimamente.

Quindi zaino, chiavi, portafogli, biglietto, sorriso e anche un po’ di polvere. Chiudo la serratura e parto.

Quanto tempo era che non ci vedevamo? Finiamo per somigliarci sempre di più tu ed io. Perché Napoli non c’è niente da fare sei così, lo sei sempre stata.
E non avere quell’aria sorpresa, sai di somigliare a tutti e che qui tutto somiglia a te.

Cerchiamo di chiarire: tu sei nella goccia di rhum che cola sul bicchiere, nel violino scordato che suona sulla funicolare e nei panni stesi tra i palazzi vicini dei Quartieri Spagnoli.

E non avere quell’aria offesa, sai che parliamo di bellezze rare, particolari, nascoste.

Sai che da sempre t’odio e t’amo e poiché sono orgogliosa proprio cumm’atte e lo sforzo di confessartelo a gran voce non lo riesco a fare. Ma tu incanti attraverso il tuo essere ibrido tra bellezza e degrado, ordine e caos, malinconia e gioia.

Sei bizzarra, bipolare e passionale nel tuo essere al contempo classica e moderna: aspetti di te che litigano e s’arraffano creando un jazz visivo che fa di te una dolce poesia amara.

“Napule è mille culure, Napule è mille paure

Napule è nu sole amaro, Napule è addore è Mare

Napule è na carta sporca e nisciuno se ne importa

Napule è na’ camminata inte viche miezo all’ato

Napule è tutto nu suonno e a sape tutto o’ munnoù”

M. recita le parole chiudendo gli occhi, le sente. Canta disegnando con l’indice lenti archi nell’aria e sorride.

“Cosa vi rende cosi?” Inclino la testa e socchiudo gli occhi.

“Così come?”

“Teatrali.”

“Napoli è un teatro della vita, bella guagliò” Ammicca. “Jamm bell, prendiamoci un caffè.”

“Dove?”

“Spaccanapoli”.

Spaccanapoli

Arteria della città, frattura, spacco o via che divide in linea retta la città a metà unendo il quartiere di Forcella ai Quartieri Spagnoli.

La luce che riesce a superare gli antichi palazzi alti, arroccati e i loro balconi stretti, è poca. Ed ecco di nuovo la poesia partenopea vestirsi di un nuovo affascinante contrasto tra luce e buio.

Camminare è difficile, la strada è sconnessa, la via è gremita di persone e le scarpe alte no, non sono state una buona idea. Inizi a sentire l’effetto claustrofobico di questa via che ti trascina assieme ai tanti altri corpi nel percorso a ostacoli della storia millenaria della città, ma ti guardi attorno e non puoi fermare gli occhi dallo scovare angoli di bellezza, tra influenze arabe, greche, romane.

Anime antiche che vivono ancora imprigionate negli scorci più insoliti di questo decumano romanico cupo e al contempo ricco di colori e odori.

Qui tutto convive scontrandosi: arte, calcio, tradizione, Maradona, chiese, blasfemia, palazzi, storia, cultura, turisti e Pulcinelle.

“Qui ti piace?” Indica il bar vicino.

“Va benissimo.”

E mentre mescolo il caffè osservo le pareti tappezzate di foto che ritraggono il proprietario del locale in età diverse, ma sempre accompagnato da una persona famosa. Sorrido.

“Prossima tappa?”

“M. ma tu non dovevi lavorare oggi?”

“No, ho preso un giorno di malattia. Questa bella vanitosa signora Napoli ha bisogno di essere ammirata anche dagli occhi di noi napoletani che, senza offesa, a complimenti siamo i più bravi. Vogliamo mettere un Uaaaaaa che splendor’ a confronto con un oh che bello?” Imita il mio accento milanesizzato dal tempo.

Ridiamo, Napoli è anche il suono di una risata di due cari amici in un locale stretto che si scontra e mescola con il suono esterno di un clacson e l’immediata risposta: “Allanem e chi te muort!”.

“Prossima meta Castel dell’Ovo.”

“Va bene piccirella, ma prima tappa a San Severo e Altarino. Non fare domande, facciamo ampressa ampress promesso.

Cappella Sansevero

Ogni conchiglia nasconde una perla e Napoli racchiude nelle sue vie strette e arroccate la perla più brillante di tutte.

La luce nella chiesa è poca e i colori dorati delle pareti sono attenuati dalla penombra.

Lo sguardo di chi entra non può che essere immediatamente catturato dal bagliore della poca luce riflessa sul marmo lucido della statua collocata al centro dell’ambiente. Il Cristo Velato di Giuseppe Sanmartino riesce a toglierti il respiro e far prigionieri i tuoi occhi che scorrono lenti tra i dettagli e le infinite pieghe del velo in marmo adagiato sul corpo inanime del Cristo.

Qui per la prima volta hai visto il marmo divenire più leggero di una piuma. “Guarda M. il materiale vive grazie all’artista. Sanmartino ha mostrato la bellezza attraverso il contrasto tra materia e forma.”

“Si racconta che il Principe Raimondo di Sangro fosse capace di solidificare tessuti e organi del corpo” Mi svela M. prima di uscire.

“Ora Altarino.”

“Ma di cosa parli?”

“Ora vedi.”

Lo seguo tra le vie sempre più strette di Spaccanapoli fino a raggiungere Piazzetta Nilo che prende il nome dalla statua lì collocata dagli Alessandrini, in ricordo della loro terra lontana, raffigurante il vecchio e barbuto Dio Nilo da loro venerato.

M. passa oltre velocemente.

“Ma cosa vuoi farmi vedere?”

“Seguimi, mo mo arriviamo.”

Giriamo l’angolo.

Oillan!” Mi indica una teca.

Altarino di Maradona

Come per gli Alessandrini c’era il Dio Nilo, per i Napoletani c’è il Dio Maradona.

Rido di questo ennesimo contrasto e mi avvicino.

“Capello Miracoloso di Diego Armando Maradona.” M. gonfia il petto mentre legge la scritta a caratteri azzurri all’interno della teca.

“Addirittura!”

Pcchè ridi? Se vuoi capire Napoli devi Capire il mito de El Pibe De Oro. Ascolta: Maradona non è stato solo un calciatore per i Napoletani, è stato l’incarnazione della necessità di rivincita di questo popolo. Ci ha accomunati in un’unica fede, ci ha resi fieri di essere Napoletani. Come poteva non diventare oggetto di divinazione?”. Ha ragione.

Castel dell’Ovo

E’ il castello più antico di tutta Napoli. Affacciato sul mare sorge imponente sull’Isolotto di Megaride. Fortezza della più poetica superstizione napoletana.

“Si dice che Virgilio abbia nascosto un uovo nei sotterranei, lo sapevi?”

“Se l’uovo si dovesse rompere tutta Napoli crollerebbe.” M. ha l’aria cupa mentre guarda il mare e mi racconta la leggenda. “Pazzesco non trovi? Una città forte come Napoli costruita su qualcosa di così precario”

“Veramente lo trovo molto coerente. E’ un contrasto, il primo, da cui partono tutti gli altri. E’ l’equilibrio precario su cui è fatta e di cui è fatta Napoli. E’ la metafora più semplice e giusta per descriverla. Lei è così: forte e fragile.”

Semplicemente bella.

Testi e immagine di Emma Matilda Ingrosso