Il trasferimento dei Re Magi

Tra storia e leggenda, passato e presente, l’avventurosa traslazione delle reliquie da Milano a Colonia. L’impresa di Reinal von Dassel tratta dalla cronaca di Giovanni di Hildesheim.

Il 10 giugno 1164 Milano è devastata dalle truppe di Federico Barbarossa, che vuole raderla al suolo per punire uno dei Comuni più ribelli e meno accondiscendenti alle sue mire imperiali. Reinal von Dassel, vescovo di Colonia, fresco di scomunica papale e fedelissimo cancelliere di Federico, si impadronisce delle reliquie dei Re Magi, conservate nella chiesa di Sant’Eustorgio. Per ordine del suo imperatore dovrà portarle a Colonia, dove si sta già pensando alla grande cattedrale che le ospiterà.

L’operazione avrà un forte valore “commerciale” (grazie al loro arrivo Colonia fu nei due secoli successivi il quarto luogo sacro più visitato dai pellegrini, dopo Gerusalemme, Roma e Costantinopoli) ma soprattutto simbolico. Quei re che si erano messi in viaggio per andare ad adorare il nuovo Messia, questa volta si muoveranno per rendere omaggio, nella sua terra del Nord, a un imperatore.

Era il riconoscimento di un ruolo e di un potere (anche sulla nomina dei vescovi) che il nuovo papa Alessandro III (eletto dopo la morte di Adriano IV, che nel 1155 aveva incoronato Federico per ringraziarlo di aver mandato al rogo quell’anticlericale Arnaldo da Brescia) sembrava negargli. Proprio a lui, così cristiano che alla denominazione di Impero romano d’Occidente pensava di aggiungere il termine Sacro. E così come i Re Magi non avevano chiesto l’intercessione delle autorità (Erode) per arrivare a Cristo, il Barbarossa decide di scavalcare il Papa.

Un viaggio complicato, anche da ricostruire

La cronaca del viaggio delle reliquie da Milano a Colonia venne ricostruita nel 1364 da un frate carmelitano, Giovanni di Hildesheim, che racconta di un percorso a zigzag (tra Piemonte, Savoia, Borgogna, Alsazia e Renania), attraversando le città e i territori che nella contesa tra papato e impero si erano schierati con il Barbarossa, dell’ultimo tratto percorso in barca sul fiume Reno partendo da un porto in Alsazia e del trionfale arrivo delle salme nella città di Reinal il 23 luglio 1164.

La cronaca del viaggio delle reliquie da Milano a Colonia venne ricostruita nel 1364 da un frate carmelitano, Giovanni di Hildesheim, che racconta di un percorso a zigzag (tra Piemonte, Savoia, Borgogna, Alsazia e Renania), attraversando le città e i territori che nella contesa tra papato e impero si erano schierati con il Barbarossa, dell’ultimo tratto percorso in barca sul fiume Reno partendo da un porto in Alsazia e del trionfale arrivo delle salme nella città di Reinal il 23 luglio 1164.

A confermare il passaggio delle reliquie (o meglio, a lasciarcelo intuire, vista la scarsa attendibilità delle fonti e il “mistero” che circonda spesso i racconti religiosi) sono frammenti di ossa lasciati in omaggio e custoditi in chiese lungo il percorso. Altra traccia sono le insegne di locande, alberghi e osterie che hanno ospitato il corteo della traslazione (eufemismo spesso usato nel Medioevo per raccontare lo spostamento furtivo delle reliquie) e che ancora oggi lo testimoniano con il loro nome: “Ai tre Re”, “Le tre corone”, “Alla stella”, “La cometa”. Insegne con nomi simili le troviamo in gran parte dell’Europa, sia per la grande divulgazione del mito dei Tre Magi, sia perché la loro leggenda era una rappresentazione del viaggio (a volte sono chiamati “santi patroni dei viaggiatori”), un simbolo dell’umano errare. In particolare si diffusero lungo il percorso alternativo seguito dai pellegrini milanesi che fin dal tardo Medioevo si recavano a Colonia per pregare i “loro” Re Magi. Meno tortuoso rispetto a quello seguito dalle reliquie, l’itinerario era più devozionale che storico e passava per Como, attraversava il San Gottardo, costeggiava il lago dei Quattro Cantoni e da Lucerna proseguiva lungo la Valle del fiume Reuss fino a Basilea. Per arrivare in Alsazia e poi sul Reno fino a Colonia.

Quando si parla di Re Magi e in generale di reliquie religiose ci si muove su una fragile linea di confine, in bilico tra storia e leggenda, ma seguire il percorso della traslazione può essere un modo originale per raccontare l’Europa medioevale e un’occasione per scoprire paesi poco conosciuti e non sempre meta di itinerari turistici.

Mille chilometri in 43 giorni

Lasciata Milano, la prima tappa in territorio italiano (o meglio in quella scacchiera di Domini Comunali, Marchesati, Contee e Repubbliche che si stendeva a Sud delle Alpi) fu Pavia, a far visita al Barbarossa che aveva commissionato l’impresa. Era la città preferita dall’imperatore, il suo quartiere generale in Italia. Qui era stato incoronato Re d’Italia dal vescovo locale nella Basilica di San Michele Maggiore il 17 aprile del 1155 (due mesi dopo sarà il Papa a incoronarlo Imperatore a San Pietro). Un omaggio all’ospitalità della città è tra le 235 reliquie che vengono conservate nella basilica e una testimonianza di quanto il culto dell’Epifania sia stato diffuso nel Medioevo lo troviamo in un trittico d’avorio (dei primi anni del 1400) con ventisei scene della storia dei Magi, che si trova nella Certosa di Pavia.

Seconda tappa fu Vercelli, da dove Van Dassel scrisse una lettera ai dignitari ecclesiastici di Colonia, confermando che era in viaggio con il prezioso carico. In via Galileo Ferraris, a due passi dal duomo (che ricorda vagamente la basilica di San Pietro e ha al suo interno un monumentale crocefisso in lamine d’argento del X secolo), c’è l’Antico albergo dei Tre Re, oggi moderno residence, e in una casa (oggi demolita) a lato del convento di San Paolo, che forse ne ospitò le salme, una targa con tre corone ricordava il loro passaggio.

Superata Torino, che allora era poco più che un borgo fortificato, un piccolo marchesato governato dal vescovo Carlo I, fedele amico del Barbarossa, il corteo della traslazione si inoltrò nella Val di Susa, che con i suoi due valichi del Monginevro e del Moncenisio (il primo più basso ma più lungo da percorrere) era il collegamento alpino tra la Francia e l’Italia maggiormente utilizzato da eserciti, mercanti (da e per le grandi fiere commerciali dello Champagne) e pellegrini (dal Nord Europa verso Roma e Gerusalemme), divenendo una delle varianti più frequentate della via Francigena.

Per questi sentieri di confine passeranno come clandestini gli emigrati italiani del primo dopoguerra (quelli che non riuscivano a imbarcarsi per l’America), gli ebrei che scappavano dalle leggi razziali e (nei nostri giorni) gli immigrati sbarcati a Lampedusa. Arrivano dal Mali, dal Camerun, dalla Costa d’Avorio; vogliono andare in Francia per lavorare, per vivere, perché lì si parla una lingua che conoscono, hanno amici e parenti che li hanno preceduti.

E come tutti i pellegrini dell’epoca anche Reinal e il suo sacro seguito, fece probabilmente una sosta alla Sagra di san Michele, l’imponente abazia che sovrasta l’imbocco della Val Susa. Il monumento, arroccato sulla vetta del monte Pirchiriano che domina la valle, è stato costruito intorno all’anno mille e ampliato nei secoli successivi. È curiosamente (o volutamente) posizionato a metà strada sulla retta che unisce Mont Saint Michel (al confine tra Bretagna e Normandia) al santuario di San Michele Arcangelo in Puglia. Una retta che proseguendola arriva a Gerusalemme.

I Magi hanno dato il nome anche a un gruppo di montagne nella zona, a un rifugio alpino e a un albergo. Salendo da Susa al Monginevro e prendendo la strada per Bardonecchia e il traforo del Frejus, si raggiunge la Val Stretta (Val Etroite, siamo in Francia), che porta a uno scenografico Lago Verde in cui si affacciano tre cime denominate i Tre Re Magi, poco lontano dal lago si trova il rifugio I Re Magi. A Montgenevre, il primo paese che si incontra scendendo il colle del Monginevro, incontriamo lungo la via principale il ClubHotel Les Rois Mages.

Torniamo al 1164. Passato il confine, che dopo Carlo Magno non era più frontiera ma apparteneva a un solo regno (anche se ai tempi del Barbarossa l’unione era solo politica perché il territorio della Borgogna l’aveva ereditato sposando Beatrice, figlia del re borgognone, e quello torinese era solo una fedele alleanza) Reinal Van Dassel e il suo seguito raggiunsero Ebrun. Allora rocca con annessa abazia, Ebrun è oggi un grazioso borgo medioevale sulla sponde del lago artificiale di Serre Poncon.

Nell’antica cattedrale di Notre Dame du Real, del XII secolo, in stile romanico lombardo, il portico d’ingresso è chiamato “des Trois Rois” e all’interno esisteva (è stato distrutto dai protestanti) un affresco sull’adorazione dei Magi, visitato da molti re francesi perché ritenuto miracoloso.

Borgogna e Alsazia

Lasciata Ebrun il corteo della traslazione raggiunse probabilmente Baune, allora residenza preferita dei Duchi di Borgogna.

Città d’arte (suggestivo il tetto dalle tegole multicolori del medioevale Hotel Dieu), ricca di storia e circondata da vigneti, Baune è anche la capitale dei vini di Borgogna. Tra questi il Domain Rois Mages è uno dei marchi i più famosi e apprezzati del territorio e si produce a Rully, nelle campagne circostanti. Anche il nome di un dolce tipico della Borgogna (diffuso in tutto il sud francese) si richiama ai Magi: la galette des rois en boules, una grande brioche a forma di corona.

Da Baune Reinal ripartì verso Besancon, fermandosi, come riportano alcuni antichi documenti locali, in alcuni monasteri della zona, dove lasciò parti di reliquie: a La Charité sur Loire, in una abazia benedettina di ordine clunicense (ancora oggi ben conservata); a Morimond, nel borgo medioevale di Parnoy en Bassigny (del monastero restano solo poche rovine, da qui partirono i monaci che nel 1134 fondarono l’abazia di Morimondo, alle porte di Milano) e a Lieu Croissant, tra i borghi di Geney e Mancenans, poco lontano da Besancon (l’abazia cistercense, distrutta ai tempi della rivoluzione francese, dopo aver ospitato le salme portò il nome di Trois Rois; conservava una parte del pollice di uno dei Re Magi).

Una reliquia dei Magi è conservata anche in una cappella dell’abazia di Montbenoît, nei pressi del fiume Doubs a una decina di chilometri a Sud di Besancon, sul confine svizzero. Perfettamente conservato, il complesso monastico risale al XII secolo. Il borgo che lo circonda, insieme ad altri dieci comuni dell’area, dal 1947 fa parte della Repubblica di Saugeais, una micronazione, a tutti gli effetti francese ma con tanto di Presidente, stemma e bandiera.

Attraversata Besancon il corteo si diresse a Basilea, già allora importante centro commerciale, ultimo porto a Sud del Reno. A Basilea c’è il più noto tra gli hotel intitolati ai Magi, il Grand Hotel Les Trois Rois. Costruito nel 1681, probabilmente vicino al luogo che ospitò le reliquie in viaggio, si trova nel centro storico affacciato sul fiume.

È uno degli alberghi più lussuosi d’Europa e vanta ospiti famosi, da Napoleone alla regina Elisabetta, da Wagner a Bob Dylan, da Voltaire a Picasso. Forse da qui si imbarcarono per Colonia, ma altri documenti e tracce registrano il passaggio delle salme in alcuni paesi in Alsazia. A Colmar, splendida città medioevale (con le sue case a graticcio, i canali, le piazze e i vicoli pieni di luce e colori), si può ammirare una pregevole Adorazione dei magi sulla facciata principale della cattedrale di San Martino.

A Ribauville, pochi chilometri più a Nord, nella chiesa di Saint Grégoire le Grand viene conservato un frammento delle reliquie dei Magi e qui ha sede una Confraternita dei Re Magi che promuove le tradizioni e la gastronomia locale. Ribauville è un pittoresco villaggio medioevale con strade acciottolate, case pastello, balconi fioriti, nidi di cicogne ed è circondato da vigneti e da tre castelli.

La prima domenica di settembre ospita un curioso festival dei menestrelli (il Pfifferdaj), artisti di strada in costume medioevale che suonano per le strade del borgo, dove non manca una brasserie Aux Trois Rois. Un ristorante con lo stesso nome è a Moosch, una ventina di chilometri a Sud di Colmar.

E a proposito di insegne, una delle più diffuse nelle regione alsaziana è “A la couronne” (alla corona, a volte declinato al plurale). Troviamo ristoranti e hotel con questo nome a Riquewihr, Strasburgo, Wuenheim, Bourbach le Bas, Scherwiller, Burnhaupt le Haut, Carspach, Diebolsheim e Roppenheim.

In Alsazia, come in alcune aree della Germania e in tanti paesi del nostro Alto Adige permane un’antica tradizione legata all’Epifania. I bambini si vestono come i Re Magi e vanno di casa in casa, bussano e cantano una canzone. In cambio ricevono dei dolci o qualche moneta e lasciano una scritta con un gesso sulle porte (ad esempio 20 + C+M+B + 17).  I numeri corrispondono all’anno e le lettere sono l’abbreviazione di Caspar, Melchior, Balthasar, i nomi dei Tre Re Magi.

L’arrivo a Colonia

Non sappiamo se ad accogliere le reliquie ci fosse una folla festante o solo alcuni notabili del clero locale, ma si conosce il luogo dove vennero depositate al loro arrivo in città: dietro all’altare della chiesa di San Pietro. Colonia era allora una città fortificata e la chiesa era edificata vicino alla principale porta di accesso da cui partiva la strada che portava al porto sul Reno.

Con i suoi trentamila abitanti era una delle città più popolate della Germania e, grazie al fiume, una tra le più ricche per il suo traffico commerciale. Non aveva ancora una università, che sarà avviata solo nel 1248 grazie ai domenicani (Alberto il Grande, che si era formato a Padova, e il suo assistente Tommaso d’Acquino) diventando nel Medioevo un centro di eccellenza per la filosofia e la teologia. Piccola parentesi.

Gli italiani hanno avuto un ruolo determinante nella cultura e nelle tradizioni tedesche che si sono sviluppate nel Medioevo, basti ricordare che la produzione di insaccati (anche i mitici wurstel) l’hanno inizialmente appresa dai salumieri di Norcia e quella della birra, che allora si produceva solo nei conventi, dai monaci bizantini calabresi, che a loro volta riprendevano conoscenze dall’antico Egitto. Anche la famosa Acqua di Colonia, l’ha creata nei primi anni del 1700 un immigrato piemontese (Giovanni Paolo Feminis), utilizzando l’essenza estratta dai bergamotti.

Con l’arrivo delle reliquie, Colonia aveva ora un ruolo importante nel mondo cristiano occidentale e doveva valorizzarle.

Chiamarono uno dei più famosi artigiani dell’epoca, il francese Nicolas de Verdun, e gli commissionarono il nuovo sarcofago. Utilizzando oro, argento, pietre preziose e decorazioni antiche (bottino di qualche crociata) ne uscì un capolavoro: una cassa a forma di basilica alta un metro e 53, lunga due metri e 20, larga un metro e dieci, dal peso di trecento chili. E attorno al sarcofago iniziarono a costruire anche la nuova cattedrale.

I lavori, partiti nel 1248, finirono seicento anni dopo. Un’opera monumentale, per bellezza e dimensioni. Vanta diversi primati, ha la superficie più estesa tra le facciate di una chiesa, le più alte volte gotiche all’interno di una cattedrale (40 metri) e la campana a battacchio più grande (pesa 24 tonnellate). Con le sue torri di 157 metri, fu fino al 1884 l’edificio più alto al mondo. Salirne la sommità è un’impresa (533 gradini) ma il panorama è imperdibile.

La storia delle reliquie

Agli inizi del 300 Elena, moglie dell’imperatore romano Costanzo Cloro e madre del suo successore Costantino, va in pellegrinaggio a Gerusalemme e qui si presume abbia ritrovato la croce su cui morì Gesù, i chiodi e le corona di spine. Raccoglie anche numerose reliquie e tra queste quelle dei Re Magi.

Le porta a Costantinopoli e le deposita nella chiesa che diverrà la basilica di Santa Sofia, quella che nel 1453 sarà trasformata in moschea, circondando la grande cupola con quattro torri-minareti e oggi è un museo (con la Moschea Blu è una delle immagini simbolo di Istambul). Nel 343 Costantino dona le reliquie a Eustorgio, Vescovo di Milano (la città dove trenta anni prima aveva firmato l’Editto che poneva fine alla persecuzione dei cristiani). Le spoglie dei Magi arrivano a Milano in un pesante sarcofago su un carro trainato da buoi, che passata la porta ticinese si blocca e nessuno riesce a far proseguire. Interpretandolo come segno divino, Eustorgio decide di costruire sul posto una basilica (che ancora oggi porta il suo nome) per ospitare le reliquie.

Anche il campanile avrà un richiamo ai Re Magi: sulla sommità non c’è la solita croce ma una stella a otto punte. E qui rimarranno per otto secoli, fino all’arrivo del Barbarossa, che nel 1164 le porta a Colonia.

Nella basilica milanese possiamo ancora vedere in una cappella il sarcofago (vuoto), una grande arca in pietra che reca l’iscrizione Sepulcrum Trium Magorum, e dietro una grata, in una nicchia nel muro, un contenitore con una piccola parte delle reliquie trafugate (due fibule, una tibia e una vertebra), restituite a Milano solo nel 1904 dopo una estenuante trattativa con il clero tedesco.

Gli umitt di Brugherio

Milano e Colonia non sono le sole a vantare la presenza dei resti. Brugherio è un paese a 14 chilometri del capoluogo lombardo. Qui sul finire del IV secolo si ritirò a una vita monacale Marcellina, sorella del Vescovo di Milano Ambrogio, che con altre amiche di nobili famiglie aveva trasformato una villa in un monastero. Per incentivarne l’impegno Ambrogio regalò loro una parte delle reliquie conservate nella basilica di Sant’Eustorgio (tre falangi delle dita).

Nel 1613 queste reliquie furono portate nella chiesa parrocchiale di San Bartolomeo, che ancora oggi le custodisce in una teca (che gli abitanti del paese chiamano in dialetto “i umitt”, gli ometti). Viene esposta al pubblico una volta all’anno, in occasione dell’Epifania.

I doni dei Re Magi

Una leggenda racconta che la Madonna conservò i doni portati dai Re Magi e li fece custodire in una chiesa a Gerusalemme. Nel IV secolo queste reliquie furono spostate nella basilica di Santa Sofia a Costantinopoli (forse dalla stessa Elena), dove rimasero fino alla caduta dell’Impero romano d’Oriente e alla conquista della città da parte ottomana (1453).

Per salvarle dalla distruzione furono portate in Grecia, nel monastero ortodosso di Aghios Pavlos, sul Monte Athos, dove è ancora possibile ammirare lo scrigno che contiene 28 piccoli ciondoli d’oro, quadrati, rettangolari e triangolari, e 70 palline di incenso e mirra, scure e grandi come un’oliva.

Nel 2014 furono temporaneamente esposte nelle principali basiliche di Mosca, Pietroburgo, Minsk e Kiev, con un enorme affluenza di fedeli.

La versione di Marco Polo

A contraddire tutte le precedenti ricostruzioni ci ha pensato Marco Polo che nel Milione racconta di aver visitato, intorno al 1271, la tomba dei tre Magi a Saba, la città persiana da cui sarebbero partiti per andare ad adorare Gesù: “… in una bella sepoltura, e sonvi ancora tutti interi con barba e co’ capegli: l’uno ebbe nome Beltasar, l’altro Gaspar, lo terzo Melquior”.

Ma alcuni ritengono che Marco Polo fosse un cronista a volte fantasioso e che Rustichello da Pisa, il trascrittore dei racconti del famoso viaggiatore, amava romanzare e aggiungere intuizioni tutte sue.

Ma chi erano i Re Magi?

Nei quattro Vangeli canonici, quelli riconosciuti come sacri dalla religione cristiana, vengono citati solo da Matteo, che racconta l’arrivo a Gerusalemme di alcuni magi da oriente.

Magi, in greco antico venivano chiamati i sacerdoti dello zeroastrismo persiano, studiosi e osservatori del cielo e degli astri che lo illuminavano. Avevano seguito una stella che secondo loro annunciava la nascita del Messia, il nuovo re della Giudea. Lo trovarono a Betlemme, dove la stella si era fermata.

Si prostrarono adorandolo e gli lasciarono in dono scrigni contenenti oro, incenso e mirra. Poi fecero ritorno al loro paese senza ripassare da Erode, che li aveva incontrati in precedenza e che aveva chiesto loro di avvisarlo quando avrebbero trovato il Messia.

Matteo non racconta altro. Che fossero in tre, che fossero re e che si chiamassero Melchiorre, Gaspare e Baldassare lo scopriamo nei vangeli apocrifi, non attendibili per la Chiesa. Poi ad arricchire di particolari la leggenda (la loro età, la provenienza, il colore della loro pelle) ci pensarono la fantasia popolare e le favolistiche interpretazioni di qualche ecclesiastico.

Anche la stella che sempre li accompagna è leggenda e diventerà una cometa con la coda perché così la rappresenta Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova (1303) dopo aver visto passare Halley, transitata nei cieli italiani nel 1301. Negli anni attorno alla nascita di Cristo non passò nessuna cometa e l’unico fenomeno astronomico luminoso di quel periodo fu una congiunzione Giove-Saturno che ebbe luogo sette anni prima.

Alcuni teologi interpretano come simbolica la narrazione di Matteo sull’adorazione dei Magi, una parabola senza basi storiche ma ricca di significati morali.

E se i Re Magi non fossero mai esistiti, di chi sono tutte quelle reliquie?

Misteri della fede. “Le reliquie … – scrive Umberto Eco in Baudolino – è la vera Fede che le fa vere, non esse che fanno vera la Fede.”