L’umano errare di Maigret

Nel mondo della letteratura e dei personaggi nati dalla fantasia degli autori esistono poche figure così dettagliatamente descritte nell’aspetto, nel carattere, nei gusti e nelle manie, come Jules Maigret, il commissario di polizia francese protagonista di oltre cento opere (75 romanzi e 28 racconti brevi) di Georges Simenon.

Da Pietro il lettone (Pietr le Letton, 1931) a Maigret e il signor Charles (Maigret et Monsieur Charles, 1972), il primo e l’ultimo in ordine di pubblicazione, ogni racconto è un’occasione per approfondire la conoscenza del personaggio. Dentro la trama di tutte le storie e delle indagini attorno a un crimine c’è sempre un dettaglio, una riflessione (forse a volte troppo ripetuta) sulla personalità del protagonista.

Pennellate di colore che danno forma al ritratto di una persona che diventa sempre più definita e reale. “L’ho resa più vero di quanto non sia”, dirà Simenon al commissario nel racconto del 1951 Le memorie di Maigret, dove l’autore immagina di incontrare e intervistare il vero Maigret, non il personaggio da lui creato ma quello a cui (sempre nella finzione letteraria) si è ispirato. È l’unico della serie dedicata al commissario scritto in prima persona e dove la voce narrante è proprio quella di Maigret.

Attraverso i suoi ricordi scopriamo l’infanzia di Jules a Saint Fiacre nella Francia centrale, gli studi a Nantes, in Bretagna, l’arrivo a Parigi, la scoperta della città, l’incontro con la futura moglie, la carriera in polizia fino alla pensione. E se il romanzo della vita del commissario ha poco a che vedere con la biografia del suo autore, la simbiosi Maigret-Simenon è completa nell’elenco dei luoghi in cui il protagonista dei racconti si muove, per questioni personali o per lavoro, gli stessi in cui lo scrittore ha vissuto.

Gli itinerari dell’umano errare del commissario percorrono molte strade di Parigi e toccano una ventina di località in Francia (da Concarneau in Bretagna a Porquerolles in Costa Azzurra, da Bergerac in Dordogna a Vichy in Alvernia), alcune in Europa, come Londra, Brema in Germania, Liegi in Belgio s Delfzijl in Olanda (dove Simenon ha raccontato di aver pensato per la prima volta al personaggio di Maigret e per questo il Comune ha dedicato un monumento al commissario nel centro del paese) e arriveranno fino a New York (negli Stati Uniti, dove Simenon ha abitato dal 1945 al 1955).

L’umano errare del Commissario

Gran parte dei racconti (63 su 75) si svolgono a Parigi tra il 1930 e il 1972. Agli occhi di Maigret cambiano le stagioni ma la città rimane la stessa negli anni.

L’umore di Maigret e quello di Parigi si condizionano a vicenda. Ed entrambi sono sensibili alle variazioni meteorologiche.

In estate: “Maigret in maniche di camicia sfogliava la posta, lanciando occhiate fuori dalla finestra. Era solo in ufficio perché molti ispettori erano in vacanza. Ad agosto Parigi era deserta. Persino i rumori della strada non erano quelli di sempre. C’erano come delle pause di silenzio. I pullman riversavano il loro carico di turisti sempre negli stessi posti e passeggiando per quelle strade ci si stupiva quando, d’un tratto, si sentiva parlare francese” (Maigret et l’homme tout seul 1971).

“Al ritorno dalle vacanze Maigret non riusciva a ingranare. E sembrava che Parigi fosse nella stessa situazione. Non c’era traccia ne’ della pioggia ne’ del fresco. I pullman continuavano a scaricare turisti con camicie sgargianti ed erano ancora molti i parigini in partenza che riempivano i treni. L’estate non si decideva a finire”. (Maigret et les braves gens – 1962)

E in inverno: “Non era di cattivo umore, ma neppure in forma. Era gennaio e il cielo era di un grigio neutro, più o meno lo stesso del selciato, intonato agli spiriti e agli umori. Faceva freddo, non tanto perché ne parlassero i giornali. Era un freddo fastidioso e basta, di cui ti accorgevi solo dopo aver camminato un po’ per strada”. (Les scrupules de Maigret – 1958)

Maigret ama camminare e la sua conoscenza urbana è geografica, sociale e psicologica. (Les mémoires de Maigret – 1951)

“Sono poche le strade di Parigi che non ho percorso in lungo e in largo, con gli occhi ben aperti, ed è così che ho imparato a conoscere tutto il popolino dei marciapiedi, dal mendicante al borseggiatore, dalla fioraia alla vecchia ubriacona”.

È una città multietnica che anticipa le odierne metropoli europee: “Migliaia di nordamericani, portoghesi, zingari, che vivono – o meglio si accampano – nella periferia Nord, gente che parla poco la nostra lingua e ha un suo sistema di leggi e valori. Gli ebrei hanno scelto la zona del Marais, gli italiani quella intorno al Municipio, i russi quella a Sud. Molti vogliono integrarsi, altri scelgono volontariamente l’emarginazione”.

Umanità varia che si aggrega nei grandi magazzini e nei mercati: “In rue Saint Antoine Maigret camminava lentamente, con le mani dietro la schiena e la pipa tra i denti. Trascinava il suo corpo massiccio nella calca. Il sole splendeva nel cielo terso sui carrettini carichi di frutta e verdura e sulle bancherelle che ingombravano quasi tutto il marciapiede. Odori di formaggio davanti a una latteria e più in là profumo di caffè tostato. Tutto il caotico commercio di alimentari al dettaglio e la sfilata delle massaie diffidenti, il tintinnare dei registratori di cassa e il pesante passaggio degli autobus”.

Oppure nelle stazioni: “La Gare de l’Est mi rattrista perché mi ricorda le mobilitazioni (ndr: è la stazione più grande di Parigi, qui si radunarono e partirono i soldati francesi verso il fronte della prima guerra mondiale), la Gare de Lyon e quella di Montparnasse mi fanno pensare alle vacanze. Invece la Gare du Nord, la più fredda e affollata, evoca nella mia mente la lotta aspra e dolorosa per il pane quotidiano. Forse perché porta a una regione di fabbriche e miniere.

La vedo sempre immersa nella nebbia umida e appiccicosa del primo mattino, con la sua massa di gente ancora mezzo addormentata che si dirige in branchi verso i binari o verso le uscite. Qui arrivano i treni locali, non da ridenti villaggi di riviera ma da casermoni di periferia scuri e malsani. In quel grigiore che sa di fumo e sudore centinaia di persone si agitano correndo tra biglietterie e deposito bagagli. Mangiando e bevendo qualcosa, guardano ansiosi i tabelloni, le valigie, i cani e i bambini”.

Le indagini lo porteranno a scoprire alberghi malfamati e squallidi locali notturni a Pigalle ma anche gli hotel di lusso e le ricche case borghesi attorno agli Champs Elysées (“ambienti che lo facevano sentire goffo e fuori posto.

Fastidio, non invidia. Erano frequentati da una cerchia di persone che aveva le sue regole, le sue abitudini, i suoi tabù, il suo linguaggio e che si ritrovavano a teatro, al ristorante, la domenica in case di campagna che si assomigliavano tutte, e d’estate a Cannes o a Saint Tropez”. (Maigret et le marchand de vin – 1970); i piccoli bar “con il bancone a ferro di cavallo, una lunga fila di bicchieri rovesciati e un aspro odore di alcol a buon mercato”, e i bistrot economici con menù a prezzo fisso (“… ci si mangia bene perché vengono tutti dalla provincia, bretoni, alverniati, borgognoni, e hanno conservato le loro tradizioni e i contatti: prosciutto, salumi e pane viene dalle loro parti”).

Abita in Boulevard Richard Lenoir, poco lontano dalla Bastiglia e dalla bellissima Place du Vosges (dove risiederà per un breve periodo: “La piazza ha uno dei giardini più tipici di Parigi e intorno alla cancellata le case si assomigliano tutte, con i loro porticati e i tetti di ardesia spioventi”). È un quartiere tranquillo, con viali alberati dove ama passeggiare al braccio della moglie e fumando la pipa. Gesti rituali come quelli che ripete sempre all’arrivo a casa o in ufficio: affacciarsi alla finestra, controllare la stufa, scegliere una pipa e caricarla.

Per raggiungere il commissariato, al 36 di Quai des Orfèvres, vicino a Notre Dame, prende un taxi o l’autobus (ma solo quelli con la piattaforma dove è consentito fumare).

Lungo il tragitto contempla vagamente Parigi al mattino, la sua luce, il suo languore, guarda sfilare le vie e l’acqua che scorre a fianco dei marciapiedi, la gente che corre come tante formiche verso i luoghi di lavoro o i negozi che stanno aprendo. Quando arriva la primavera preferisce andarci a piedi: “… annusare l’aria, gli odori dei negozi, girandosi di tanto in tanto ad ammirare i vestiti chiari e allegri delle donne”.

Dalla finestra del suo ufficio vede lo scorrere del fiume: “… in venticinque anni la Senna non era cambiata, ne’ erano cambiate le barche che si vedevano passare, ne’ i pescatori, sempre negli stessi punti con le loro lenze. Quasi non si fossero mai mossi”. (Maigret et les vieillards, 1960)

L’acqua è una costante nell’umano errare di Maigret. Siano i canali, le chiuse, gli argini di Parigi o quelli nel Centro e nel Nord della Francia; i fiumi come la Loira (dove andrà a pescare quando sarà in pensione) o le coste marine, quelle grigie sull’Atlantico in Bretagna o in Vandea, quelle della Normandia e le azzurre e soleggiate del Mediterraneo.

Tutte descritte attraverso lo sguardo del commissario, in semplici cartoline che sembrano acquarelli firmati Simenon.

Da Concarneau, Bretagna, riassunta in tre fotografie: prima, durante e dopo una burrasca (Le chien jaune – 1931). “Concarneau è deserta. L’orologio luminoso della città vecchia, che si intravede al di sopra dei bastioni, segna le undici meno cinque. La marea ha raggiunto il suo culmine e un forte vento fa cozzare una contro l’altra le barche ormeggiate nel porto.

Il vento si infila nelle strade, dove ogni tanto si vedono pezzi di carta svolazzare rasoterra a gran velocità” …  “Tutto questo gli ricordava i temporali come si vedono al cinema. Un vento furioso spazza la strada. Luce verdastra. Persiane che sbattono. Mulinelli di polvere. Scrosci d’acqua. La strada sotto una pioggia battente e sotto un cielo drammatico” … “Il tempo si era messo al bello. Il cielo pareva lavato di fresco.

Era azzurro, di un azzurro un po’ pallido ma vibrante, nel quale scintillavano nubi leggere. L’orizzonte era più ampio, quasi fosse stato aperto un varco nella calotta celeste. Il mare, di una calma assoluta, luccicava, trapunto di piccole vele simili a bandierine piantate con uno spillo su una mappa”.

Da Fecamp, in Normandia: “Maigret percorse l’asse che collegava il battello con la terra ferma. Le mani in tasca, il naso violaceo dal freddo e l’aria torva… Non era ancora giorno, ma non era più notte, poiché sul mare si disegnava il profilo della onde, di un bianco netto. E i gabbiani si stagliavano come macchie chiare contro il cielo. Dalla stazione arrivò il fischio di un treno. Una vecchia si dirigeva verso gli scogli col cesto sulla schiena e un rampino in mano, in cerca di granchi”. (Au rendez vous des Terre Neuvas – 1931)

Dai desolati paesaggi della Vandea, nella parte centrale della costa atlantica francese: “La palude. Immense distese piatte, solcate da canali, disseminate di basse fattorie, i capanni, come le chiamano in Vandea, e cumuli di sterco di vacca, che, seccato in mattonelle, serve da combustibile… Maigret camminava sulla riva e inciampò in cesti, cime d’acciaio, casse e gusci di ostriche. Tutta la riva era occupata da baracche in cui i mitilicultori tenevano il loro materiale.

Una specie di baraccopoli senza abitanti. Ogni due minuti un muggito, il segnale di nebbia della Punta delle balene e l’avviso del cambio delle maree”. (La maison du juge – 1942)

Dall’isola di Porquerolles, in Costa Azzurra.

“Era l’isola che lo interessava e quegli uomini che su piccole imbarcazioni andavano e venivano lungo le coste con disinvoltura, come a casa loro, come se percorressero un viale. Non corrispondeva all’immagine che uno si fa del mare.

Gli sembrava che qui il mare fosse qualcosa di intimo… Seduto a poppa, Maigret teneva la mano sinistra nell’acqua, come faceva da piccolo quando suo padre lo portava in barca sullo stagno … e guardava il mare di un blu da cartolina, le scogliere che scintillavano al primo sole, i bagnanti che andavano a occupare i loro posti gli uni accanto agli altri come per una fotografia” (Mon ami Maigret – 1949).

Biografia ricostruita di Jules Maigret

Jules Joseph Anthelme Maigret nasce nel 1887 a Saint Fiacre, un paese della Francia centrale non lontano da Moulins (il nome della località è inventato, forse il riferimento reale è un paese in zona, Paray le Frésil, dove per un anno Simenon ha lavorato come segretario in una residenza storica di un marchese); il padre lavora come amministratore del castello di un nobile, una proprietà con ventisei fattorie, una delle quali gestita dal nonno paterno; la madre, figlia del droghiere del paese, è casalinga.

Nel 1895 la madre, in attesa del secondo figlio, muore a causa delle maldestre cure di un medico ubriaco che la assiste.
Jules viene mandato a studiare in un collegio, che non sopporta, a Moulins e dopo pochi mesi viene affidato dal padre a una sua sorella, sposata ma senza figli, il cui marito aveva appena aperto un forno a Nantes.

Qui trascorre i periodi scolastici fino ad iscriversi a corsi universitari di medicina. Le vacanze estive le passa dal padre, che nel 1906 muore di pleurite all’età di 44 anni e l’anno dopo anche la zia muore per la stessa malattia.

Maigret interrompe gli studi e rifiuta l’offerta dello zio, che vorrebbe insegnargli il mestiere del fornaio. Si trasferisce a Parigi dove trova lavori saltuari e abita in una piccola pensione sulla riva sinistra della Senna; in una camera accanto alla sua vive un uomo che a Maigret ricorda il padre.

Una sera si ritrovano nella piccola trattoria sotto casa e inizia a conoscerlo. Si chiama Jacquemain ed è Ispettore di polizia. Jules è affascinato dai suoi racconti e decide di seguirne la carriera. Nel 1909 diventa poliziotto con la qualifica di agente ciclista; il suo incarico consiste nel portare gli incartamenti tra i vari uffici e questo gli permette di conoscere a fondo la città.

Pur ricoprendo un incarico modesto, Maigret inizia a farsi notare e dopo alcuni mesi diventa segretario del commissario di polizia del quartiere Saint Georges.

Una sera incontra per strada un vecchio compagno della facoltà di medicina, Félix Jubert. I due iniziano a frequentarsi e Maigret allarga la sfera delle sue amicizie fino a conoscere Louise Léonard, una ragazza nativa di Colmar (Alsazia), che sposerà nel 1912. La coppia prende in affitto un appartamento al numero 132 di Boulevard Richard Lenoir, che lasceranno solo per un breve periodo quando vanno ad abitare al 21 di Place des Vosges. Avranno una figlia, che morirà dopo pochi giorni di vita.

Maigret viene promosso ispettore della Surêté, la futura Polizia Giudiziaria, e passa dal commissariato di zona al Quai des Orfèvres, sede centrale della Polizia. I primi incarichi come ispettore consistono nello svolgere il servizio pubblico prima nelle strade, poi alle Halles (i mercati generali di Parigi), in seguito all’interno dei grandi magazzini e nelle stazioni ferroviarie.

Dopo un passaggio alla Buoncostume entra nella Brigata Speciale della Giudiziaria, di cui diviene Commissario Capo. A questo punto le informazioni biografiche fornite da Simenon diventano lacunose e poco lineari. In alcuni racconti lo troviamo in pensione, ritirato nella casa di campagna a Meung sur Loire, e in episodi successivi lo vediamo ritornare in servizio fino al 1972 e rifiutare l’incarico di Direttore della Polizia Giudiziaria, che gli viene proposto dopo 40 anni di servizio.

Un personaggio popolare

Da questi romanzi, tradotti in 55 lingue e pubblicati in 44 paesi (dove si contano più di 700 milioni di copie vendute) sono stati tratti più di duecento tra sceneggiati e film per la televisione e 14 pellicole per il cinema. Molti attori si sono cimentati nel ruolo del personaggio creato da Simenon.

Tra questi i più famosi sono Jean Gabin, Charles Laughton, Richard Harris e Bruno Cremer (forse quello più vicino e attinente alla descrizione nei libri). In Italia fu realizzata dal 1964 al 1972 una serie tv in 16 episodi con Maigret interpretato da Gino Cervi e nel 2004 fu Sergio Castellitto a vestire per due volte i panni del commissario. La più recente rappresentazione è una serie televisiva di produzione britannica (2016/2017) interpretata da Rowan Atkinson, il noto e stralunato Mr. Bean.

In Internet è possibile trovare molti siti dedicati a Simenon e a Maigret. Tra i più curiosi quello che riporta una cartografia dei casi risolti dal commissario (http://blog.feedbooks.com/fr/2013/10/09/la-carte-des-crimes-resolus-par-le-celebre-commissaire-maigret/) e quello che elenca tutte le bevande gradite da Maigret, contate nei vari romanzi (47 caffè, 42 birre, 40 brandy …) e divise per tipo, a volte per marca (http://www.trussel.com/maig/gurr.htm).

Singolare anche l’analisi sociologica che viene svolta sulle differenze nella scelta delle bevande tra donne e uomini e tra classi sociali, per dimostrare come Simenon utilizzi anche questa caratteristica per connotare un’appartenenza (ad esempio Maigret non beve mai tè o champagne, che nei racconti piace alle donne e agli aristocratici, preferisce il calvados e le grappe ai sofisticati cocktail o ai brandy costosi che lascia bere solo alle classi elevate).

Un esempio divertente al riguardo delle bevute è nel racconto Maigret et l’inspecteur malgracieux del 1947, il commissario, dopo una notte di indagini, fa colazione in un bar con l’ispettore Lognon. Maigret sta finendo un uovo sodo, accompagnato da un bicchiere di vino, aggiungendo sale ad ogni morso. Lognon insiste nel voler offrire la colazione e gli chiede: «Commissario, allora io ho preso un latte caldo, e lei?» E Maigret mentre si aggiusta il bavero del cappotto: «Dunque, io ho preso due caffe-latte, tre croissant, due bicchieri di vino e quattro uova sode». E lascia l’allibito Lognon alla cassa dirigendosi verso l’uscita con un gesto con la mano come a dire “solo questo, nient’altro”.

Tornato a casa per cambiarsi, Maigret incontra la moglie che sta uscendo per la spesa. «Maigret? Già a casa? Ma allora ti preparo la colazione?» E lui, con sagace ingenuità: «Ma no, cara, lo sai che io al mattino non mangio mai nulla!».

Buon bevitore e buona forchetta, Maigret ama la cucina semplice, i piatti della tradizione regionale francese, quelli preparati dalla moglie Louise o nei bistrot lungo i percorsi delle sue indagini. Sono trattorie popolari, a gestione familiare (quelle di un tempo, ma che ancora oggi – a fatica – è possibile trovare a Parigi), con una donna ai fornelli (moglie, amante, sorella, cognata, zia) e un uomo in sala che illustra a voce i piatti del giorno, quando non sono già scritti su una lavagnetta.

Vino sfuso, quello prodotto dai parenti di campagna dell’oste e servizio informale. Sono i luoghi che predilige, per le atmosfere tranquille ma dense di odori e di vita. Mangia lentamente assaporando tutto il piacere del cibo e non disdegna l’offerta di un secondo giro.

Anche i gusti gastronomici di Maigret sono stati oggetto di studio. Robert Julien Courtine,   giornalista di Le Monde, esperto di cucina e amico dello scrittore, pubblicò nel 1974 Le Cahier de recettes de madame Maigret che, raccogliendo le citazioni dai vari romanzi, elenca e descrive tutti i piatti preparati dalla moglie del commissario.