Una gita al contrario sul Whernside

Questa storia comincia al contrario, inizia infatti da dove finisce: in una latteria sociale di Hawes, nel North Yorkshire.

Se non sono gite lunghe, non mi porto mai da mangiare in montagna, mi nutro di bevande energetiche, di bustine di sali; composti dagli ingredienti più assurdi.

D’altra parte anche quando mi muovo per i fatti miei, anche nelle escursioni più semplici, pure la preparazione della gita risulta per me una sorta di ricerca dell’essenziale; quando ritorni alla base però, devi sempre rendere conto al tuo fisico, che ti ha portato dove ti ha portato e che chiede riconoscenza.


La mia base era la mia auto, parcheggiata già dalle otto del mattino tra le provinciali B6479 e B6255, nel mezzo del nulla. È il parcheggio di partenza per la salita a uno dei tre picchi dello Yorkshire: Whernside.

E Whernside era là che mi guardava di sottecchi, mezzo assonnato alle otto del mattino. È uno di quei tanti bitorzoli del Cambriano, pelato dal vento, neanche un albero a fargli compagnia, perché pure gli alberi qui fanno fatica a crescere con questo impietoso clima alpino a soli 750 metri sul livello del mare.

Dicevo che questa storia comincia al contrario.

A venti minuti dal parcheggio c’è il villaggio di Hawes e qui c’è una piccola latteria sociale, che fornisce ottimo formaggio a tutta la contea. Ho capito vivendo qui che non si può mai generalizzare, neanche sul formaggio. Solitamente siamo abituati a pensare solo all’insignificante formaggio inglese che compriamo in tutti i supermercati: decine di varianti di Cheddar tutte dello stesso sapore.

Alla latteria Wenslaydale invece, il formaggio lo sanno fare molto bene. Con l’istinto di un lupo affamato, mi sono precipitato nella latteria dove mi aspettavano vassoi pieni di assaggi di 25 tipi di formaggio diversi. Mi si è ingessato lo sguardo masticando un formaggio di pecora, che di pecorino non aveva nulla, ma aveva il sapore dell’aria, del vento, dell’acqua di quella mattina.


Ne ho comprato tre etti, sono uscito e nevicava da non so dove, il cielo era azzuro, le nuvole correvano impazzite e nevicava. Mi sono chiuso in macchina e ho mangiato il mio formaggio in cinque bocconi, in religioso silenzio e guardando i fiocchi di neve che attraversavano l’aria in orizzontale scaraventati più in la da un vento di tormenta. Sentivo il sapore del formaggio e lo stomaco era felice.

È una storia al contrario che comincia se volete anche il giorno prima, controllando le condizioni del tempo per capire come vestirmi; studiando il percorso, un percorso ad anello che si sarebbe svolto in senso antiorario, al contrario appunto.

Gli inizi di queste gite sono uguali agli arrivi, che sono uguali a loro volta sempre a se stessi. Sono per esempio un vialetto sterrato fra muri a secco di sandstone (arenaria), sono sentieri che si aprono nel nulla anzi, non è il nulla, è una vastità che assomiglia a un anello di Moebius, dove non si capisce dove inizia e dove finisce.

La mia gita al contrario è iniziata con un lieve pendio e subito ho incontrato una delle uniche quattro persone della giornata, era la persona della gita al contrario: io salivo e lui scendeva terminando la sua escursione.

Lui tornava avendo visto quello che io avrei visto, lui era sudato e contento, io riposato e spaesato. Gli ho chiesto se c’era vento in cima, mi ha risposto che si, c’era molto vento e se ne è andato dicendomi: “keep moving”.

Salivo velocemente, il fiato era grosso e cominciavo a racimolare tra le mani quello che potevo raccogliere: sudore, fatica, concentrazione, il blu del cielo e questo colore invernale che non è né verde erba, né marrone terra.

Poi, non più riparato dai dossi, sono stato esposto al vento gelido. Al contrario rileggevo mentalmente le previsioni meteo del giorno prima: 2°C e vento a 70 Km/h, nessuna precipitazione prevista almeno fino alle ore 13. Non piove, il vento è ancora debole, ma la temperatura era decisamente più bassa.

Il freddo è bello quando sei coperto e io ero coperto e leggero allo stesso tempo, per essere più agile nei movimenti.
Ho visto ghiaccio per terra, ma dopo 40 minuti di cammino immagini il gelo che non c’è, ormai il corpo segue la mente.

Altre due piccole sagome davanti a me, che incedono lentamente, non sollevano mai la testa, perché? Guardatevi attorno mi verrebbe voglia di dirgli, ma non ho tempo, sono troppo concentrato a guardare quello che non succede intorno a me.

Distese di pascoli, terreni incolti, pozze d’acqua e il taglio di un viadotto ferroviario vittoriano: un inossidabile reperto tecnologico, instancabile punto di riferimento di una rivoluzione industriale ancora vivente.
Collega Leeds a Carlisle, cioè l’ultimo avamposto inglese prima di entrare in Scozia.

C’e solo il sole a orientarmi e farmi capire dov’è Leeds e dov’è la Scozia, perché in una gita al contrario, un ponte è un ponte ed è lì a collegare due lembi di terra che potrebbero essere percorsi a cominciare da uno qualunque degli estremi e se non ci fosse un punto di riferimento assoluto, un turista per caso non potrebbe mai capire, guardando questa foto digitale e contemporaneamente mentale, dove va un treno o da dove arriva.

Il sole acceca. La luce di questo sole invernale è abbacinante, perché il riverbero delle nubi bianche la vuole far vincere contro il gelo dei laghetti e il rumore assordante del vento che ormai è al suo culmine. Mi chino, mi riparo nel mio cappuccio la guancia esposta; solo così riesco a respirare.

Mi oppongo a un vento incessante e implacabile, poi rialzo la testa e vedo la cima…la cima qui è la sommità della gobba.
I ricordi delle mie salite ai 4.000 delle Alpi vorrebbero prendere in giro quello che vedo, ma il vento ancora più implacabile difende questo deserto alle soglie della Cambria.

È come se tutto questo microcosmo ostile ricreasse le stesse condizioni climatiche delle Alpi Graie: gelo, vento e un piccolo, grande deserto intorno a me, distanze impercettibili.
Bevo e mi fermo qualche minuto, un muretto di pietra mi ricorda che da una parte sono in Cambria, dall’altra in Yorkshire. Qual è la parte giusta? Qual è il contrario?

Scendo al contrario, percorrendo il tutto in senso antiorario, è la circumnavigazione del nulla, perché non c’è nulla a cui girare intorno, solo sassi, pascoli impervi e vento gelido.
Scendo mentre l’ultimo essere umano della giornata sale dalla parte opposta: arrivo e partenza si confondono ancora una volta nell’ocra che diventerà verde.

Ritrovo il viadotto che non ha inizio né fine, né destra, né sinistra.
Ho pecore intorno a me, perché nel frattempo mi sono distratto a guardare le nuvole girando al contrario, sono uscito dal sentiero e mi ritrovo in una marcita, con rigagnoli di acqua e pecore incuranti di me, del sole e delle nuvole, loro pensano solo a brucare.

Voglio arrivare sotto le volte di questo baluardo di civiltà. Questa cicatrice ferroviaria nella campagna deserta.

Ho chiuso questo giro al contrario con un punto esclamativo, che è questo pilastro di sandstone pesante tonnellate e che sostiene tonnellate di pietre, su cui passano tonnellate di acciaio.
Non c’è più vento, è un peccato perché non lo sento, ma lo vedo spingere nubi a velocità incredibili.
Sono tornato a un altro muretto, che sicuramente non è quello da cui sono partito, ma è quello a cui sono arrivato girando al contrario.

Anche i muretti a secco qui sono degli anelli di Moebius: ne vedi un tratto, poi spariscono, si interrompono e riprendono accompagnando qualcosa che ritrovi a chilometri di distanza.
Siamo all’inizio del racconto ora.

Ho fame. Vado in latteria. E poi torno a casa contento.

Testi e foto di Luca Lastella