Alla ricerca di Jacquemart italiani

Nel medioevo si diffuse la moda di costruire statue animate collegate agli orologi delle torri e dei campanili. Macchinosi e divertenti, gli automi ancora in azione in Europa sono centinaia e molti sono sparsi nel territorio italiano.

Jacquemart è un termine francese e risale al Medioevo come contrazione di Jacques (Giacomo, Giacobbe) e marteler (battere, martellare). Così venivano chiamate le statue in metallo o in legno che i costruttori di orologi meccanici mettevano sulle torri o sui campanili per battere con un martello le campane.

Perché si chiamano Jaquemart

Sul perché queste figure venissero chiamate così esistono diverse interpretazioni. Secondo alcuni storici era il nome più diffuso tra gli orologiai di Digione (dove fu costruito uno dei primi jacquemart); altri ritengono derivi dal soprannome dato ai pellegrini che si recavano in visita al santuario di Santiago (San Giacomo) di Compostela e quindi un richiamo religioso.

Ma Jacques erano chiamati, in senso bonario e a volte derisorio, i contadini che nei campi alla sera suonavano piccole campane per chiamare alla preghiera dell’angelus e anche i guardiani dei campanili che tradizionalmente vestivano una jacque (giacca) di maglia. Per scoprire l’origine dell’intreccio tra il nome proprio e l’abbigliamento dobbiamo tornare al 1358, dopo la battaglia di Poitiers, quando gli inglesi occuparono gran parte della Francia.

Contro la loro oppressione e quella dei nobili locali alleati, scoppiò la rivolta rurale degli jacques (i contadini) che durò solo dodici giorni ma che per la sua violenza passò alla storia come uno dei più cruenti eventi insurrezionali. Da allora il termine jacqueries fu sinonimo di ribellione e furono chiamate jacquet quelle camicie pesanti che durante i combattimenti i contadini portavano sopra alla tunica, utilizzandole a mo’ di corazza. E quella denominazione fu anche l’origine etimologica delle nostre giacche.

Le figure animate dagli orologi

La creazione di giocattoli a figura umana che sembrassero vivi ha origini lontane. Il primo trattato sulla meccanica e sugli automi risale al primo secolo dopo Cristo ed è un’opera di Erone di Alessandria, matematico e inventore greco che progettò un prototipo della macchina a vapore e realizzò uno spettacolo teatrale con figure meccaniche che si muovevano grazie a leve e ruote dentate.

Nel Medioevo l’invenzione giocosa di Erone trovò sviluppo nella cultura bizantina e islamica e presto si diffuse anche nel mondo occidentale. L’idea di divulgare la conoscenza e le scoperte rappresentandole con figure animate affascinò molti scienziati, astronomi e soprattutto i costruttori di orologi meccanici, che come gli archistar odierni, venivano chiamati dai nobili e dai prelati ad abbellire palazzi e chiese.

Quando poi affinarono la tecnica, creando personaggi azionati dai meccanismi che muovevano gli orologi, gli automi che suonavano le campane divennero moda e si diffusero in gran parte dell’Europa. Possiamo immaginare con quanto stupore e ammirazione venissero visti dalla gente comune, radunata nella piazza con lo sguardo verso l’alto, quei congegni che indicavano il tempo muovendosi da soli.

Sicuramente hanno incuriosito anche William Shakespeare che li cita nel Riccardo III, dove il re viene più volte distratto dalle sue meditazioni per il suono prodotto da uno jacquemart.

Un’altra citazione letteraria è di Herman Melville, l’autore di Moby Dick. Nella sua novella The bell tower (Il campanile) del 1855, racconta di un ingegnere italiano (Bannadonna) che progetta e costruisce un enorme campanile e nel giorno della sua inaugurazione viene ucciso dal jacquemart da lui creato.

Oggi, al tempo della robotica e dell’intelligenza artificiale, quelle realizzazioni ci fanno forse sorridere, ma ancora destano curiosità e alcune sono vere e proprie opere d’arte, che vale la pena cercare e scoprire.

Jaquemart al giorno d’oggi

Nel vecchio continente ne esistono centinaia, in generale ben conservate e alcune attualizzate, come il Pied Bull Yard Clock di Londra, dove tra i personaggi animati c’è anche un punk con tanto di cresta colorata.

In Francia, patria degli jacquemart, se ne contano una cinquantina e in Germania più di sessanta (nella regione della Foresta Nera, nel 1783 sono nati gli orologi a cucù, meccanismi che possiamo considerare come piccoli modelli di jacquemart).

Nel Regno Unito ce ne sono 25 e altrettanti in Spagna. I più lontani sono a Oremburg in Russia (dove tra le figure animate c’è anche l’astronauta Gagarin), a Tokyo in Giappone (progettato da Hayao Miyazaki, regista e fumettista di manga) e persino in Malesia, su un albergo di Kuala Lumpur.

In Italia ne abbiamo trovati dieci, a Bardolino, Brescia, Macerata, Messina, Montepulciano, Orvieto, Soncino, Trieste, Udine e Venezia. Ma prima di descriverli è doverosa una citazione di un celebre jacquemart, uno dei più antichi e dei più originali: quello della chiesa di Notre Dame di Digione, costruito nel 1383 con un solo personaggio (Jacques) a suonare la campana. Poi nel 1651 è stata aggiunta la figura della moglie (Jacqueline), nel 1714 quella del figlio (Jacquelinet) e nel 1884 quella della figlia (Jacquelinette). I due adulti suonano le ore mentre i ragazzi si muovono ogni quarto d’ora.

Jacquemart italiani

Bardolino

Bardolino è una tranquilla località sulla sponda orientale del lago di Garda, a una trentina di chilometri da Verona. È famosa per il vino che porta il suo nome e viene prodotto sulle colline che la circondano. Sono vini rossi e rosati, di colore rubino e delicatamente fruttati, che si accompagnano perfettamente con primi di pasta e con i pesci di lago ma anche con piatti più robusti come il bollito o il baccalà con polenta.

In piazza Giacomo Matteotti, a pochi passi dal lungolago, a lato della chiesa dei Santi Nicolò e Severo, il palazzo che ospita il Cafè Centrale ha sul tetto un campanile a vela con un orologio e un semplice jacquemart. Sono due sagome a figura femminile che si muovono ogni quarto d’ora per battere la campana centrale.

Brescia

In piazza della Loggia a Brescia, una delle più scenografiche piazze rinascimentali italiane, c’è un orologio astronomico sormontato da una torretta con una campana che viene colpita ogni ora da due figure in movimento.

I due automi, in rame e alti due metri, sono stati collocati sulla torre nel 1581 e il loro meccanismo di azionamento è stato collegato all’orologio sottostante che era stato realizzato nel 1547.

Il quadrante dell’orologio segna le ore (ne sono indicate 24, in numeri romani; solo dopo l’arrivo di Napoleone gli orologi avranno un quadrante a 12 ore), le fasi lunari e quelle zodiacali.

Nel dialetto locale i due martellatori vengono da sempre chiamati “i macc de le ure” che dovrebbe significare “i matti delle ore” (secondo alcuni l’esatta traduzione è “i maci delle ore”, cioè uomini forti, di derivazione franco-spagnola, ma la versione più diffusa è certo anche la più divertente).

Macerata

Nell’aprile del 2015, dopo venti anni di laborioso restauro, ha ripreso a funzionare l’orologio astronomico e sua animazione sulla Torre dei tempi di Macerata. Costruito nel 1571 ha segnato le ore della vita cittadina per quasi tre secoli per poi fermarsi per più di 150 anni.

Per due volte al giorno, alle 12 e alle 18, in una finestra sopra al quadrante dell’orologio, un uccello in metallo fa suonare una campana colpendola con il becco e parte un carosello di personaggi (un angelo con una tromba e i tre Re Magi) che ruotano e si inchinano davanti a una statua di una Madonna con bambino.

Messina

Il campanile del Duomo di Messina ospita l’orologio astronomico più grande al mondo e un complesso meccanismo che aziona numerose statue poste su vari piani della torre. Tra le diverse figure in movimento sono due statue in bronzo, alte tre metri e raffiguranti le eroine della città (Dina e Clarenza), a suonare le campane (che è la specificità del jacquemart).

Montepulciano

Borgo medioevale in provincia di Siena, è famoso per i suoi imponenti palazzi rinascimentali, le eleganti chiese e per il suo Vino Nobile.

Il centro storico, circondato da antiche mura, è attraversato da un strada principale (il Corso, dove nell’ultima domenica di agosto si svolge il Bravio delle Botti, una originale corsa con le botti). Percorrendo il Corso si raggiungono le principali bellezze architettoniche, il Duomo, il Palazzo del Comune, la Fortezza, la chiesa di Sant’Agostino con accanto la Torre del Pulcinella, sulla cui sommità troviamo un curioso jacquemart che risale al 1680.

È una statua in legno, rivestita con il costume tipico della maschera napoletana fatto di latta e lamiera. Ha un buffo cappello a falde e il braccio sinistro alzato regge una lancia mentre il destro si muove per battere con un martello una campana di bronzo.

Orvieto

Il più antico jacquemart italiano si trova a Orvieto, a pochi passi dalla Cattedrale di Santa Maria Assunta, sulla torre dell’orologio chiamata “del Maurizio”, che è il soprannome dato all’automa che si muove battendo una campana. Maurizio è la distorsione popolare del termine “muricium” cioè muro, per estensione edificio in costruzione o cantiere. Il cantiere era quello della costruzione del duomo, capolavoro del gotico italiano, che si prolungò dal 1290 fino a metà del 1500.

La torre, l’orologio e l’automa vennero realizzati intorno al 1350 con una duplice finalità: quella estetica per adornare la piazza e quella funzionale per scandire i tempi di lavoro del cantiere (fu infatti denominato “ariologium de muricio“).

Anche il personaggio in bronzo (alto un metro e 65 centimetri) che con un maglio picchia la campana ha le fattezze un operaio o meglio di un capomastro addetto al controllo dei lavori e al rispetto degli orari, con tanto di pettorina con lo stemma della Fabbrica del Duomo e una cintura con incisa una scritta: “Da te a me, campana, furo i pati: tu per gridar et io per far i fati”. In risposta un’altra scritta corre sulla corona della campana: “Se vuoi ch’attenga i pati, dammi piano. Se no io cassirò e darà invano”. Il Maurizio di Orvieto non ha braccia snodabili e, come per tutti i jacquemart costruiti prima della seconda metà del 1400, a muoversi è l’intera figura che poggia su una base rotante collegata ai meccanismi dell’orologio.

Soncino

Borgo medioevale a 35 chilometri da Cremona e 60 da Milano, Soncino è famosa per la sua Rocca sforzesca del XV secolo, perfettamente conservata.

Al centro del borgo, la piazza principale ospita il Palazzo comunale del 1400, affiancato dalla Torre civica, quadrangolare e alta 41.80 metri. Sulla sommità del palazzo, poco sopra l’orologio astronomico con segni zodiacali in terracotta (realizzati nel 1977), furono collocati nel 1506, durante la dominazione veneziana, due automi che suonano una campana. Ricordano, in miniatura, i mori di piazza San Marco e per questo furono chiamati i “matei”.

Trieste

Piazza Unità d’Italia è la piazza più scenografica di Trieste ed è il fulcro della vita cittadina. Si affaccia sul mare ed è circondata da palazzi in stile rinascimentale. Tra questi il più imponente è il Palazzo del Municipio, opera del 1875 dell’architetto triestino Giuseppe Bruni. È sovrastato al centro da un torrione con orologio sopra il quale due mori (chiamati amichevolmente con nomi di origine slovena, Micheze e Jacheze), scandiscono il tempo della città battendo una campana posta tra i due automi.

Le due statue in bronzo e zinco non sono quelle originali che nel 2005 furono sostituite da copie identiche e dopo un restauro vennero portate all’entrata del Castello di San Giusto, dove sono ancora oggi esposte.

Udine

In Piazza della Libertà a Udine, inglobata nella loggia di San Giovanni, si trova la Torre dell’orologio, sormontata da due automi che battono le ore su una campana. La piazza, la loggia e la torre sono in stile veneziano e ricordano piazza San Marco. Anche le due figure che si muovono sulla torre sono chiamate “mori”, come nel jacquemart veneziano.

Sono due statue in bronzo, alte più di tre metri e realizzate nel 1850 dallo scultore Vincenzo Luccardi in sostituzione di quelle in legno risalenti alla fine del 1300. Una ha capelli ricci, l’altra lisci. Ricordano i bronzi di Riace, anche se l’opera non è il frutto di una fusione unica ma di una composizione di una vari frammenti su un telaio in ferro.

Nel corso degli anni, anche per distinguerli dai loro “cugini” della laguna, hanno spesso cambiato il loro soprannome, prima li hanno chiamati “il tedesco e l’italiano”, poi con nomi tipici friulani, come “Simon e Daniel” oppure “Gràdine e Belebén”.

Venezia

A piazza San Marco di Venezia, accanto alla basilica e sul lato opposto a quello del campanile, c’è la Torre dell’Orologio, un edificio rinascimentale risalente al 1499. La torre è divisa in tre piani. Il primo è occupato dal quadrante (4,5 metri di diametro) con sfondo azzurro che indica le ore, le fasi lunari e il movimento del sole in relazione ai vari segni zodiacali. Il secondo da una nicchia occupata da una Madonna con Bambino in rame dorato.

Ha ai lati due porte che si aprono solo nelle settimana dell’Ascensione per far passare un carosello di personaggi (un angelo e i tre Re Magi) che sfilano davanti alla Madonna facendo un inchino. Il terzo da un leone di San Marco alato che con la zampa sinistra tiene aperto il libro del Vangelo.

Sulla terrazza alla sommità della torre due statue di bronzo, alte 2.70 metri, battono con una mazza le ore su una grande campana. L’abbigliamento scolpito sulle statue è quello dei pastori ma per il loro colore bruno i veneziani li hanno da sempre chiamati mori, distinguendoli nel “vecchio”, quello con la barba, e nel “giovane”.

Il primo batte le ore due minuti prima dell’ora esatta, a rappresentare il tempo che è passato, mentre il moro giovane suona l’ora due minuti dopo per rappresentare il tempo che verrà.