A passo di pecora

Transumanza: due giorni di cammino seguendo un gregge da Anversa degli Abruzzi all’alpeggio di Chiarano.

Da Anversa degli Abruzzi allo stazzo di Chiarano: due giorni di cammino a passo di pecora. È la transumanza del terzo millennio, una transumanza verticale, dalla valle all’alpeggio all’inizio dell’estate e viceversa all’inizio dell’autunno.
Se non mi avesse incuriosito un sms, di quelli pigri, di fine primavera, arrivato per caso nel primo pomeriggio che concludeva con “…perché non ci andiamo?”, non avrei ancora scoperto quanto è grazioso il paesino di Anversa degli Abruzzi. Sta lì proprio tra il Parco Nazionale d’Abruzzo e il Parco della Majella con i suoi 350 abitanti. La transumanza inizia poco fuori il centro abitato: un gregge di 400-500 capi tra pecore e capre è già pronto a partire alle 6 della mattina per raggiungere lo stazzo di Chiarano, dove trascorreranno l’estate. Non mancano i cani, i fedelissimi pastori abruzzesi disposti tutti intorno, il pastore, di immancabili origini macedoni, e i transumanti, persone che per due giorni vivranno questa esperienza d’altri tempi. E io sono tra questi.
La sera prima della partenza, noi transumanti, ci eravamo ritrovati all’agriturismo la Porta dei Parchi, dove abbiamo passato la notte. Gli altri partecipanti sono persone variegate, particolari e spesso molto interessanti: la giornalista, che è venuta dall’Australia per scrivere un articolo sulle pecore d’Abruzzo, una coppia da Pordenone, che anni fa hanno aderito al progetto “Adotta una pecora”, una signora da Dublino incuriosita dalla transumanza, due signore da Malta e un gruppo di dodici siciliani.
Da Anversa scendiamo alle gole del Sagittario, dove, quello che oggi sembra un piccolo e innocuo corso d’acqua, mostra tutta la tenacia e la forza nelle imponenti pareti verticali che nei millenni ha scavato.
Dalle gole intercettiamo un sentiero che s’inerpica sull’imponente costone di roccia dove sorge Castrovalva, unica frazione di Anversa degli Abruzzi. È un delizioso borgo di meno di 60 abitanti, pulito e ordinato, di casette realizzate in pietra locale, in mezzo alle quali, qualche tempo fa (nel 1930), è passato anche l’artista olandese Maurits Cornelis Escher. Oggi il borgo non è molto diverso da come lo aveva inciso lui.
Chi, come me, ama girovagare per le montagne, troverà in questo cammino un modo diverso di assaporare i sentieri; mentre i tuoi piedi, in sintonia con gli scarponcini, cercano un’intesa con il fondo, erboso-sassoso-terroso-sassoso-terroso, i tuoi occhi rimangono saldamente attaccati alle testoline delle pecore che si alzano e si abbassano a ritmo e che, appena possono, si allontanano ghiotte di erba fresca e saporita, e le tue orecchie si riempiono dei belati delle più giovani e dello scampanellio delle più grandi.
Non è per niente facile rapportarsi con questi animali: se ti avvicini troppo si spaventano e scappano velocemente a ripristinare uno spazio vuoto, una distanza che reputano sufficiente alla loro sicurezza, se stai troppo distante se ne vanno dove vogliono. Per non sentirmi causa del loro continuo disorientamento mi tengo a qualche metro di distanza e alla fine trovo una misura che mi sembra in equilibrio con loro.
Da Castrovalva proseguiamo per Frattura vecchia, la frazione di Scanno abbandonata dopo che il terremoto della Marsica del 1915 ne aveva sbriciolato le case e che oggi è abitata da una ventina di residenti. Qui, nel 1957, hanno girato alcune scene del film Uomini e lupi, con Silvana Mangano e Yves Montand.
Le pecore cominciano a essere stanche e rallentano il passo. È pomeriggio tardi quando arriviamo a Frattura, con il suo splendido affaccio sul lago di Scanno, dalla forma a cuore sbilenco e dal colore verde intenso, nel quale si affacciano, vanitose, le montagne che abbiamo di fronte.
La mattina del giorno seguente, ripreso il cammino, tutto sembra più facile, più familiare, più tuo: guidare le pecore, ascoltare i loro belati, andare al loro ritmo, e soprattutto scoprire che il loro ritmo è diventato il tuo ritmo. Il sentiero che da Frattura porta al pascolo di Chiarano è una carrareccia, larga e comoda. È una giornata limpida e, arrivati al punto più alto, sulla sinistra, la Majella, il massiccio più alto d’Abruzzo dopo il Gran Sasso. Il panorama mi toglie il respiro.
Da qui comincia il tratto in discesa e dopo qualche ora raggiungiamo finalmente la nostra meta: lo stazzo di Chiarano, dove le pecore avrebbero trascorso l’estate. Lo stazzo è un ovile d’alta quota, ricovero per gli animali e per i pastori. È realizzato in discesa per consentire all’acqua delle piogge di defluire, con muri perimetrali di pietra locale per proteggere il gregge dall’attacco di lupi e di orsi, spesso organizzato in più scomparti. Per i pastori il ricovero ha anche un tetto e spesso un camino, ma nella maggior parte dei casi non c’è né elettricità né acqua. Eppure dopo tutti quei passi, quei belati, quel ricorrersi, quel tenere e tenersi in gruppo, lo stazzo è sembrato una reggia, anche senza l’acqua, senza il bagno e senza l’elettricità.
È notte inoltrata quando chiudo gli occhi e rivivo questo strano, splendido fine settimana pieno di accattivanti scoperte e inusuali emozioni. Nella testa il susseguirsi dei panorami, dei suoni, delle energie che la migrazione di un gregge può regalare; nelle mani due buste di orapi, una specie di spinaci di montagna che per nascere ha bisogno di essere concimata dalle pecore, una sorta di effetto collaterale della loro esistenza; nelle tasche gli indirizzi mail che ci siamo scambiati insieme alla voglia di rivederci. Per ripetere una piccola, intensa, unica esperienza.
Per chi volesse vivere la transumanza può contattare l’agriturismo la Porta dei Parchi ad Anversa degli Abruzzi
(tel. 0864 49595, sito www.laportadeiparchi.it). L’agriturismo è un’azienda biologica cooperativa e propone ottimi formaggi di capra e di pecora, le ricotte fresche e affumicate, i pecorini e i salumi di pecora.

Anversa degli Abruzzi

Anversa è un borgo medievale con vicoli stretti e passaggi sotto archi. Le case sono state costruite sopra dirupi e hanno portali e finestre che sembrano cornici finemente lavorate dagli artigiani locali, da sempre abili a plasmare pietra, terracotta, ceramiche e maioliche (alcune dal 1568 abbelliscono Villa d’Este a Tivoli). Una tradizione che continua in alcune botteghe del paese dove vengono ancora prodotti manufatti come la “pignata”, il recipiente in terracotta usato per la cottura dei legumi, e il “cucù”, un caratteristico fischietto d´argilla, oggetti che, con il serpente e la pecora (a volte raffigurati sulle case), sono diventati i simboli di Anversa.
La visita al borgo può iniziare dalla Chiesa di Santa Maria delle Grazie (sec. XVI) con un portale rinascimentale in pietra calcarea del 1540 e un magnifico rosone del 1585, recante lo stemma dei Sangro e lo stemma di Anversa, con le serpi attorcigliate alle asticelle del compasso. Poi si sale verso i ruderi del Castello dei Conti Sangro, costruito dai Normanni nel XII secolo, che domina il centro abitato e che un terremoto del 1706 ha ridotto in rovine. Il borgo e in particolare il castello ispirò Gabriele D’annunzio che qui volle ambientare una delle sue tragedie “La fiaccola sotto il moggio” (1905).
Anversa è celebre anche per la sua ricotta affumicata (medaglia d´oro alle Olimpiadi del formaggio di montagna del 2002). Tra i piatti locali meritano una menzione i quagliatelli e fagioli, una minestra a base di pasta fatta solo con acqua e farina, il capretto “cacio e uovo”, le pizzelle cotte con il “ferro” artigianale e i dolci natalizi come le pizze fritte e i ceci ripieni.

Maurits Cornelis Escher

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L’artista olandese delle geometrie impossibili, delle originali prospettive, delle illusioni ottiche e delle invenzioni giocose era innanzitutto uno straordinario grafico, come dimostrano le sue numerose e variegate produzioni: 448 incisioni (xilografie, cioè stampe con matrice in legno, litografie, con matrici in pietra e mezzetinte, su lastre in metallo rame o zinco, raschiate e graffiate per ottenere sfumature), oltre 2000 disegni, schizzi e illustrazioni per libri, tappezzerie, francobolli e murales.
Maurits Cornelis Escher (1898 – 1972) nasce e muore in Olanda ma ha trascorso molti anni spostandosi tra Spagna, Svizzera, Belgio, Tunisia, Corsica e in Italia, dove visse dal 1922 al 1935. Gli anni italiani sono quelli della sua formazione pittorica, della sua passione per i paesaggi e i borghi. Visita Roma, la Toscana, la Campania, la Calabria, la Sicilia e l’Abruzzo, prediligendo escursioni in luoghi sperduti e poco noti. Famosa la sua litografia di Castrovalva eseguita nel 1930 e oggi ospitata in Canada alla National Gallery di Ottawa.
Disegnerà panorami, scorci e paesaggi che poi riprenderà anche nelle opere più fantasiose, quelle più conosciute, dove la realtà tridimensionale si confonde nel piano a due dimensioni del disegno. Sono incisioni inspirate da psicologia, matematica, fantascienza e poesia, in cui ritroviamo, scorci e architetture italiane, motivi grafici ripresi dagli arabeschi dell’Alhambra di Granada e figure umane simili a quelle rappresentate nei quadri di Hieronymus Bosch.
Come altri artisti suoi predecessori, Michelangelo, Leonardo da Vinci, Dürer, anche Escher era mancino.