L’umano errare di Vittoria

Da piccola ero solita svegliarmi tra le 5 e le 6 del mattino e, con me, svegliavo chiaramente anche mia madre e mio padre. Avevo voglia di fare qualcosa, vedere cosa fosse successo durante il mio sonno, aprire gli occhi al mondo.

A Milano si respira finalmente aria di primavera e la città ha un odore indescrivibile.

Non è profumo o fragranza. Si sente sulla pelle. Per me quest’anno la primavera ha un altro odore, un odore nuovo.

Mi chiamo Vittoria, vivo ad Amsterdam da un anno e ho 19 anni. È forse per questo che sono così sensibile alla primavera? Il tema meriterebbe una riflessione, ma non è facile fermarsi e pensare. Il lavoro, la scuola, le tasse, l’aspirapolvere, i piatti… poi uno si chiede perché non si ha mai tempo per riflettere sulla propria vita.

Ma oggi ho deciso di prendermi del tempo. Lasciare i piatti sporchi, rimandare lo studio. Ecco però che le infinite domande mi assalgono: perché sono ad Amsterdam? Cosa ci faccio qui?

Sono sempre stata fin da piccola una persona molto incline ad annoiarsi, il che può essere un bene e un male. Nel mio caso è stata probabilmente la cosa migliore che mi sia mai capitata. Insomma, ho sempre avuto paura di perdermi qualcosa dalla vita.

Da piccola ero solita svegliarmi tra le 5 e le 6 del mattino e, con me, svegliavo chiaramente anche mia madre e mio padre. Avevo voglia di fare qualcosa, vedere cosa fosse successo durante il mio sonno, aprire gli occhi al mondo. Tornare a dormire era come perdere altre ore di vita attiva e non se ne parlava nemmeno.

Un po’ per amore, un po’ per disperazione, i miei genitori mi hanno davvero offerto più di infinite opportunità per sfogare le mie energie. Questo è stato l’errore più grave. Sapete qual è il problema delle persone come me? Le persone come me si innamorano di ogni cosa che fanno. Per noi le decisioni, intese come inevitabili parziali rinunce, non sono difficili, sono micidiali.

A dodici anni credevo di aver trovato la mia unica e sola grande passione: sciare.

Ero ancora una bambina e correre scivolando sulla neve mi rendeva (e rende tutt’ora) felice, intensamente felice. Ma a livello nazionale e internazionale, lo sci agonistico può essere molto competitivo e una ragazza di Milano, nonostante i suoi otto anni di esperienza, non potrà mai competere con chi vive sulle montagne.

Ecco il primo bivio sul cammino della mia vita, la prima decisione da prendere: restare a Milano e frequentare un liceo scientifico o andare a vivere in montagna e iniziare uno Ski College? Prima di tutto, uscire da uno Ski College voleva dire non avere nessun diploma concreto, di certo una preparazione universitaria pari a zero.

Avrei dovuto incrociare le dita e sperare di fare carriera nello sci in quei cinque anni. Altrimenti, via a lavorare a McDonald. Avevo paura, quindi sono rimasta a Milano. Fortunatamente, le passioni non vengono a mancare e colmai il vuoto lasciato dallo sci con il pianoforte. Dopo tre anni di liceo scientifico capii che se avessi continuato a sciare a livello agonistico non sarei riuscita ad ottenere i risultati scolastici a cui aspiravo per entrare in una buona università all’estero.

Smisi anche di suonare il pianoforte, perché decisi di partire per un anno a Los Angeles come exchange-student in un liceo americano, dove ottenni un diploma. Vivere lontano da casa quando si ha solo 16 anni è indescrivibile. è stata la più bella esperienza traumatica della mia vita.

Tornata in Italia presi anche il diploma di liceo scientifico. E furono sudore, sangue e lacrime, rispetto all’anno di pacchia nelle scuole americane. Ma non è per questa pigrizia (non rinuncio al mio essere super attiva) che maturai la decisione di frequentare una Università all’estero. Volevo scoprire il mondo, aprirmi la mente, confrontarmi.

A 18 anni i miei mi spiegarono le condizioni economiche necessarie ad attuare il mio progetto. In sintesi, non potevano permettersi di mandarmi all’estero all’università. Ergo, se avessi davvero voluto andare, avrei dovuto chiedere in prestito soldi al mio Paese di destinazione, il che voleva dire iniziare a lavorare con già dei debiti da ripagare. Non ne valeva la pena.

L’eredità di mia nonna paterna, che inaspettatamente ricevetti pochi mesi dopo, riaprì una porta al mio sogno. Ma tutto aveva un’altra prospettiva. Volevo spendere i soldi nel miglior modo possibile, come avrei potuto sapere quale fosse? E se poi non mi piace quel tipo di studi? Spreco così un anno della mia vita?

Non credevo di essere abbastanza matura da poter prendermi questa responsabilità. Ero davanti a un altro bivio e non sapevo che strada prendere.

La verità è che è impossibile vivere senza rimpianti, almeno nel mio caso, ma magari sono un caso a parte. Sono condannata ad appassionarmi a tutto quello che faccio, e non posso fare tutto nella vita. Non posso contemporaneamente studiare fisica quantistica, politica, economia, matematica, suonare il pianoforte al conservatorio e sciare agonisticamente. E questo mi uccide. Una decisione si basa un principio di priorità, un principio con cui purtroppo non vado d’accordo, eppure, ho sempre messo la mia educazione sopra a tutte le mie passioni.

Sicuramente Freud potrebbe fare un’analisi infinita sul rapporto con mia madre. E non avrebbe tutti i torti. Madre o non madre, l’ultima parola è sempre stata la mia. E adesso, grazie a tutte queste decisioni che sul momento sembravano davvero impossibili, mi ritrovo a vivere a 19 anni nella città più bella del mondo, a conseguire una laurea di tre anni in Liberal Arts and Science, un programma inglese che riprende appunto il concetto di ‘artes liberales’ espresso da Seneca.

Sono alla fine del mio primo anno, e credo di essere la persona più felice del mondo.

Prima di tutto, Amsterdam è una città mozzafiato, piena di vita e di bellezze da scoprire. Una delle cose che mi ha più impressionato è il livello di intraprendenza tra i giovani: più mi guardo intorno, più mi sento spronata a dare il meglio di me, trovare nuovi lavori ed esprimere le mie idee.

E questo è anche grazie alla mia università. Infatti, Amsterdam University College offre un programma che mi permette di non rinunciare a nulla, o meglio, di rinunciare a pochissimo. I corsi che ho frequentato quest’anno? Storia del pensiero politico, Statistica I, Analisi I, Logica, Integrazione Europea, Letteratura Europea. E l’anno prossimo mi aspettano Analisi di Calcolo Vettoriale, Politica Moderna, Democrazia Comparata, Statistica II, Introduzione al pensiero Economico.

I miei due più grandi interessi sono, per ora, matematica pura e politica, di conseguenza sto cercando di creare un ponte tra queste due materie diametralmente opposte, attraverso alcuni corsi di economia. Spero di riuscire a costruire questo ponte entro la fine dei tre anni, e sono sicura che non sarà traballante. All’Amsterdam University College le selezioni sono durissime e vengono ammessi solo il 30% dei richiedenti, per un massimo di 300 studenti all’anno. In questa università sono entrata grazie al mio livello di inglese (Los Angeles non era solo pacchia), grazie ai miei voti molto alti durante tutti e cinque gli anni di liceo, grazie al pianoforte, allo sci che mi ha reso così competitiva e grazie al mio francese, appreso da mia nonna paterna.

Ero partita dalla primavera, dal fermarmi per una riflessione e ecco, come per magia, realizzarsi una convinzione, come se ogni singolo dettaglio della mia vita avesse un senso.

Si, sono condannata ad appassionarmi a tutto quello che faccio, ma c’è un posto per le persone come me al mondo.

Dove sarò tra tre anni? Non ne ho la minima idea, e non lo voglio sapere. Perché, anche se può sembrare uno stereotipo, la vita ha un senso solo quando si guarda indietro al passato.

Testo di Vittoria Dentes