Le Grazie di Curtatone

Unico nel suo genere, il santuario di Santa Maria delle Grazie, che si incontra a Curtatone, a pochi chilometri da Mantova in direzione di Cremona.

Francesco Gonzaga, il guerriero veneziano che divenne sul finire del 1300 il primo signore di Mantova, costruì il Castello ai bordi del lago Inferiore che ancora oggi è la sontuosa porta alla città, decapitò la giovanissima Agnese Visconti con l’accusa di adulterio, favorì lettere e arti ed edificò conventi e chiese. Tra queste, una delle più originali e sorprendenti, unica nel suo genere, è il santuario di Santa Maria delle Grazie, che si incontra a Curtatone, teatro della famosa battaglia risorgimentale del 1848, a pochi chilometri da Mantova in direzione di Cremona.

La zona ricorda il plat pays descritto da Jaques Brel. L’orizzonte è quello piatto e vasto delle campagne mantovane, dove le vette che toccano le nuvole sono solo cime di campanili e il territorio agricolo si allunga a perdita d’occhio, con qualche cascinale, boschi di pioppi a macchia e ruderi, divisi e nello stesso tempo collegati da una fitta rete di canali.

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Nella località una volta chiamata Prato Lamberto, tra il verde dei canneti che costeggiano il Mincio, che qui si allarga e diventa il lago Superiore, i pescatori del fiume avevano costruito, intorno all’anno 1100, un’edicola con una Madonna col figlio in grembo, un luogo di preghiera alla loro protettrice, che spesso esaudiva le loro richieste. Da allora questa Madonna è sempre stata chiamata “delle Grazie” e intorno all’immagine, diventata oggetto di assidua devozione, i francescani costruirono un piccolo convento che si trasformò in chiesa per volere del Gonzaga. Era un voto fatto alla Madonna perché liberasse la sua terra flagellata dalla peste. La costruzione, attribuita a Bartolino da Novara, un artista della corte gonzaghesca (suo il progetto del castello di San Giorgio), iniziò nel 1399. Il Santuario, affidato prima ai Francescani Conventuali e poi ai Minori Osservanti, venne solennemente consacrato il 15 agosto 1406 (la data è celebrata ancora oggi con una fiera). Negli anni successivi l’austero corpo originario in gotico lombardo fu ampliato con varie appendici architettoniche di stili diversi. Chiostri, cappelle, edifici vari e, nel 1521, anche un porticato con 52 archi per riparare i pellegrini che accorrevano sempre più numerosi e le merci che arrivavano per la fiera di metà agosto. Del portico rimane oggi soltanto la parte a ridosso della facciata con tredici arcate a tutto sesto, sostenute da colonne. È ornato di decorazioni in cotto e lunette affrescate verso la fine del ‘500 che riportano scene della storia della città e hanno tutti in comune l’immagine della Madonna o suoi eventi miracolosi. Il portale, sormontato da tre pinnacoli, è in marmo rosso e reca, sull’architrave, la scritta Sacrum Celesti Reginae Dicatum. Sono invece scomparsi i bracci laterali, le costruzioni adibite a botteghe al centro della grande piazza e la scala di pietra che partiva dalle acque del lago e finiva sotto il portico della chiesa.

Il severo esterno non lascia intravedere la vivacità dell’interno, gotico, a unica navata e dominato da una complessa impalcata lignea su due piani che ospita nelle nicchie statue che sembrano manichini o marionette e altri numerosi ex voto tra i quali anche un coccodrillo impagliato che pende dal soffitto a crociera decorato con affreschi floreali. L’impatto è sorprendente. Sembra tutto dipinto a tinte forti dove a predominare è un intenso rosso pompeiano. Le nicchie sono 80 e 53 sono occupate figure polimateriche, inquietanti e affascinanti, che sono una stratificazione di tele, fogli di carta incollati, cera e gesso, costruite su impalcature di legno a forma di croce e poi ricoperte di abiti (a volte principeschi) e stoffe. Le mani sono fatte con guanti imbottiti e dipinti. Rappresentano personaggi usciti da situazioni disastrose per una grazia ricevuta, alcuni illustri, altri anonimi, ecclesiastici e laici, uomini e donne, delinquenti scampati al supplizio, dame e soldati, notabili e popolani: ciascuno con una storia da raccontare, che le scritte sui medaglioni sottostanti ci aiutano a decifrare. Sembra di leggere una Spoon river degli scampati. “Io veggo e temo ancor lo stretto laccio – recita la dedica dell’impiccato – ma quando penso che tu l’hai disciolto ribenedico il tuo pietoso braccio”; e quella del ghigliottinato: “Per mio delitto condannato a morte, e invan datomi un colpo il giustiziere l’altro sostenne por tua destra forte”. Delle 27 nicchie rimaste vuote, dieci lo sono state da sempre, le altre contenevano statue che erano state rivestite utilizzando parti di armature, che una vota recuperate, consentirono la ricomposizione di sei armature complete (alcune con una M coronata, marchio della famosa fabbrica d’armi milanese dei Missaglia). Oggi sono esposte al Museo Diocesano Francesco Gonzaga di Mantova e rappresentano il nucleo più numeroso che si conosca di armature in stile gotico-italiano del secolo XV.

Nonostante le nicchie senza statue, sull’impalcata non c’è parete, colonna, angolo disadorno. Filari di modellini anatomici in cera disegnano motivi serpentiformi che avvolgono le colonne o seguono gli archi delle nicchie. Sono anche questi ex voto e rappresentano, in un mosaico straordinario, cuori, mani, occhi, seni, bubboni pestiferi. Nel corridoio che porta alla sagrestia è invece esposto il materiale votivo più recente. Sono spade, protesi di guerra, quadretti di tutte le dimensioni, disegni di bambini, ricami, cuori di vari materiali, fotografie e lettere. C’è persino il pallone dell’ultima partita giocata dalla squadra del Mantova, nell’anno della promozione in serie A.

Non manca inoltre una parte monumentale importante.

La prima cappella a destra racchiude il mausoleo di Baldassare Castiglioni, progettato da Giulio Romano, autore anche della tela raffigurante una Madonna in trono con Bambino e i santi Bonaventura e Francesco d’Assisi. Proseguendo lungo la parete di destra si incontra la cappella della famiglia Bertazzolo con un’opera di Lorenzo Costa, Il martirio di San Lorenzo, e la cappella Aliprandi che conserva un’icona lignea di una Madonna con Bambino con vari pannelli, opera dell’intagliatore Giovanni Battista Viani e del fratello pittore Antonio Maria. La cappella Mater Gratiae conserva le spoglie di Carlo II Gonzaga e della moglie. Sul lato sinistro una pregevole pala di Francesco Bonsignori dedicata a San Sebastiano.

Un’ultima curiosità. La serie di putti che decora tutta l’impalcata ha una manifesta e inusuale connotazione sessuale (gli angioletti sono alternativamente maschi e femmine).

E non è un caso che una chiesa così particolare e ricca di atmosfere inquietanti sia stata scelta da Bernardo Bertolucci, che ha voluto ambientarvi una scena del film Novecento: quella notturna in cui Attila, il fattore fascista interpretato da Donald Sutherland, riceve i soldi dagli agrari padani, tutti qui riuniti per trovare una soluzione (violenta e repressiva) alla giuste e sacrosante (l’aggettivo si addice al luogo) proteste dei contadini.

Il coccodrillo

Come questo coccodrillo vero sia finito lì resta un mistero. Da almeno 500 anni pende incatenato dal soffitto della chiesa. Scuoiato e riempito di paglia è da sempre attrazione e incubo per tutti i visitatori. Le leggende che sono nate intorno a lui sono numerose. La più diffusa riguarda il mitico drago (era forse un coccodrillo?) che emergeva dal lago Gerundo e strisciando infestava le campagne per divorare prede vive. Altri lo immaginano come un animale in fuga da uno zoo esotico privato di casa Gonzaga. Restaurato di recente, il coccodrillo ha invece rivelato tra le fauci filamenti di un’alga che nasce soltanto nel Nilo. Deve essere probabilmente l’ex voto di qualcuno che l’aveva portato dall’ Egitto. Secondo la Chiesa, la sua presenza ha però un significato diverso: «Il coccodrillo può facilmente essere accomunato al serpente, e di conseguenza al male e al demonio. A rinforzare la tesi è inoltre la sua posizione, col muso rivolto verso la porta d’ uscita, a rappresentare il male vinto da Cristo per intercessione di Maria».

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I visitatori illustri

Nel tempo il Santuario è stato una meta per molti personaggi importanti. Santi, Papi, imperatori non mancarono di farvi visita.

Nel 1413 giunse a Grazie l’antipapa Giovanni XXIII (Baldassare Cossa) di ritorno da Lodi, dove aveva incontrato l’imperatore Sigismondo di Lussemburgo. Nell’incontro si decise di convocare un concilio a Costanza per risolvere le polemiche e gli scontri che laceravano la cristianità dopo lo scisma d’Occidente e la contemporanea nomina di tre papi: Gregorio XII eletto a Roma, Benedetto XIII ad Avignone, e Giovanni XXIII a Pisa. Il Concilio decretò l’abdicazione e la deposizione dei tre papi (Giovanni XXIII, considerato antipapa, fu cancellato dalla lista dei papi e per questo Angelo Roncalli ha potuto prendere il suo nome quando fu eletto nel 1958) ed elesse Martino V, il papa Conciliatore, che nel viaggio da Costanza a Roma (1419) fu ospite dei Gonzaga e visitò il santuario delle Grazie.

Poco tempo dopo fu la volta di San Bernardino da Siena, che durante la quaresima del 1420 giunse al Santuario navigando miracolosamente sulle acque del lago sul suo mantello (analoghi miracoli sono attribuiti a San Francesco di Paola che sul suo mantello navigò lo Stretto di Messina e a San Giulio che con lo stesso mezzo raggiunse l’isola al centro del lago d’Orta). Tra il 1459 e il 1460 papa Pio II, in città per il concilio, visitò più volte il complesso religioso. Nel 1598 fu la volta di Margherita d’Austria, appena sposatasi per procura a Ferrara con Filippo III di Spagna. In viaggio verso Madrid, arrivò a Grazie con un seguito di 7.000 persone e venne accompagnata dal duca Vincenzo I e dalla moglie Eleonora. Relativamente più recente la visita di Napoleone Bonaparte con la moglie Giuseppina e del maresciallo austriaco Radetzky. Il futuro Pio X, in qualità di vescovo di Mantova, diede al Santuario il titolo di basilica minore e nel 1991 fu visitato anche dal Papa Giovanni Paolo II, che in occasione del Giubileo dell’anno 2000 lo nominò Luogo Sacro Giubilare.

La fiera e il raduno dei madonnari

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Oggi sono pochi i mantovani che per voto intraprendono la camminata di otto chilometri che dividono il centro della città dal Santuario nel giorno dell’Assunta. Alcuni utilizzano il servizio dei Barcaioli del Mincio, che collega Mantova alle Grazie. La maggior parte ci arriva in macchina e sono tanti, perché la fiera delle Grazie è un evento a cui non mancare. Sarà per lo spirito religioso, per le bancarelle della fiera, per vedere i disegni dei madonnari che da anni si ritrovano per arricchire con le loro opere il piazzale della chiesa (prima che i temporali estivi le cancellino) o semplicemente per gustarsi il panino col cotechino in riva al lago fiorito di ninfee, che è diventato, nella tradizione, un cult di ferragosto. Vera festa popolare. Da non mancare.